Eli Cohen

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    55 anni fa veniva ucciso in Siria Eli Cohen, la più grande spia di Israele

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    Il 18 maggio 1965, l’agente del Mossad Eli Cohen fu impiccato nella “Piazza dei Martiri” di Damasco, in Siria. Nato ad Alessandria d’Egitto il 26 dicembre 1924, e figlio di ebrei siriani originari di Aleppo, Cohen partecipò ad organizzazioni sioniste clandestine che combattevano il crescente antisemitismo di quei tempi. Successivamente entrò a far parte di un gruppo di ebrei egiziani che il Mossad aveva fondato per sostenere chi volesse rifugiarsi in Israele. Nel 1954, Egitto e Gran Bretagna stavano conducendo delle trattative che avrebbero portato gli inglesi a ritirarsi dal Canale di Suez ed a rifornire gli egiziani di una grande quantità di materiale bellico. Per vie ufficiali Israele non intervenne, ma agì per mezzo del Mossad tramite la “Operazione Shoshanna” o “Affare Lavon” che causò esplosioni ad Il Cairo e in Alessandria d'Egitto con l’intento di far ricadere la colpa sugli egiziani per far saltare gli accordi. L’operazione fallì ed undici ebrei egiziani furono individuati ed arrestati. Tra questi, Eli Cohen aveva assunto un ruolo marginale nell’operazione e, nonostante l’arresto, venne rilasciato per mancanza di prove ed espulso dal paese. Si diresse in Israele e fece richiesta per entrare nel Mossad, il quale però declino le richieste di coloro che fossero coinvolti nell’Operazione Shoshanna perché già schedati in un paese arabo. Eli cambiò rotta e trovò un nuovo lavoro, si sposò con Nadia Cohen che gli darà tre figli. Ma la situazione politica peggiorò ed Israele cominciò a notare movimenti sospetti intorno ai propri confini e, non avendo né occhi e né orecchie in quei territori, il Mossad decise di istruire una persona affinché potesse infiltrarsi in Siria sotto copertura: Eli Cohen, dall’aspetto arabo e con un’ottima conoscenza della lingua. Ma Cohen si era già costruito una vita e rifiutò l’incarico. Si dice che, per circostanze sospette, Eli Cohen abbia perso il lavoro e che non riuscisse più a trovarne uno a tal punto da accettare l’incarico propostogli dal Mossad. Studiò il Corano, il materiale bellico, i personaggi più influenti della politica araba e siriana, imparò a comunicare per mezzo di un apparecchio telegrafico, apprese tutte le manovre utili per condurre l’operazione di spionaggio. Infine, la copertura: Kamal Amin Tabet, un siriano benestante emigrato in Argentina per motivi politici con il sogno di tornare in patria. Soldi e influenza personale gli permisero di fare le giuste conoscenze, tra cui quella di Amin al-Hafiz, segretario del segreto partito panarabo del “Baath”, Partito del Risorgimento Arabo Socialista, che con un colpo di stato prenderà il comando della Siria nel 1963. Eli Cohen recitò così bene la sua parte che ottenne il permesso di visitare zone militari proibite, tra cui quelle delle alture del Golan, dove gli arabi nascosero delle postazioni di attacco. Il Golan è separato da Israele per mezzo del lago di Tiberiade e, dal lato israeliano, le postazioni nascoste non erano visibili. Cohen riuscì a convincere gli arabi ad accettare in suo dono delle piante di Eucalipto da posizionare tutte lungo la linea del Golan: Israele identificò così la posizione delle postazioni militari arabe. «Per mimetizzare le postazioni si potrebbero piantare degli eucalipti» disse Eli. Fu solo uno dei successi di Cohen. Passò informazioni che sventarono un attacco idrico che consisteva nel deviare le acque del lago di Tiberiade, riferì nomi, rapporti, postazioni, documenti segreti, scattò foto. Un grande lavoro, ma Eli finì nei sospetti del Mukhabarat, il servizio segreto arabo. Nonostante ciò, conquistò talmente tanto i suoi nemici da esser promosso a Viceministro della Difesa Siriana, una conquista che mai nessuno è riuscito a compiere. Tuttavia, le continue comunicazioni con Israele causarono interferenze del segnale. Le indagini consolidarono i sospetti nei confronti di Cohen, che venne colto in flagrante in casa propria. Il Mossad svelò immediatamente il ruolo di Eli, che venne catturato, torturato, e condannato a morte. Ci furono ripetuti appelli di grazia da parte di sua moglie, di Israele che tentò di negoziare proponendo di liberare undici spie siriane arrestate dal Mossad, e anche di Papa Paolo VI. Le ultime parole alla moglie furono:

    "Mia cara Nadia, cara famiglia! Vi scrivo queste ultime parole con la speranza che rimarrete sempre uniti. Chiedo a mia moglie di perdonarmi, che si prenda cura di sé e che dia una buona istruzione a nostri figli... arriverà il giorno in cui miei figli saranno fieri di me. Tu, mia cara Nadia, hai il mio consenso di sposare un altro uomo che farà da padre ai nostri figli. Su questo argomento sentiti completamente libera. Ti prego di non essere in lutto per tutto quel che è successo ma guardare al futuro. Vi mando gli ultimi baci e vi chiedo di pregare per la mia anima."

    Il 18 maggio 1965, Eli Cohen fu impiccato nella Piazza Dei Martiri di Damasco ed il suo corpo lasciato penzolare per ore. La sua salma non è stata mai restituita. Le sue informazioni furono vitali per vincere la Guerra dei sei giorni, che scoppierà nel 1967. Durante il conflitto, le postazioni tracciate da Cohen con le piante di eucalipto vennero usate come bersaglio. Molti si domandano ancora del perché gli arabi non abbiano modificato le posizioni delle postazioni militari, e molti sostengono che nessuno dei vertici abbia potuto immaginare la quantità di informazione che Eli Cohen fosse riuscito a comunicare. Sulla vicenda di Eli Cohen è stato girato un film, “La Spia impossibile”, per la regia di Jim Goddard, ed una seria tv prodotta da Netflix dal nome “The Spy”, con Sacha Baron Cohen nei panni di Eli Cohen.
    by David Di Segni
    In Italiano


    Edited by Ayalon - 19/5/2020, 14:32
     
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    Eli Cohen. Il sacrificio del più grande “007 israeliano”
    L'agente israeliano Eli Cohen, di cui la moglie chiede le spoglie al presidente siriano Bashar el-Assad
    Eli Cohen. Il sacrificio del più grande “007 israeliano”

    10 Marzo 2021


    di Roberto Zadik

    La Nuova Udai ha organizzato una serata in ricordo del coraggio dell’agente segreto Eli Cohen. Il sacrificio del più grande “007 israeliano” che permise a Israele di vincere la Guerra dei Sei Giorni.

    Eli Cohen non fu semplicemente un ottimo agente segreto, bensì un personaggio estremamente intenso e per certi versi eroico, che rischiò (e perse) la sua vita per salvare Israele. Al suo impegno e all’audacia che lo caratterizzarono nelle sue rischiose operazioni di spionaggio è stata dedicata la serata Eli Cohen-Eroe di Israele (QUI il video dell’incontro) organizzata su Zoom dalla Nuova Udai e dal suo presidente Enrico Mairov, il 4 marzo, con la partecipazione di personalità importanti, dai membri dell’Udai, come Gabriele Albertini, ex sindaco di Milano e europarlamentare, all’ambasciatore di Israele in Italia Dror Eydar, all’esperto del Mossad Avner Avraham, fino al fratello di Eli Cohen, Avraham che ha fornito una dettagliata testimonianza biografica, rivelando particolari inediti del fratello scomparso.

    Morto a soli 40 anni, il 18 maggio del 1965 a Damasco in Siria, impiccato sulla pubblica piazza, come ha ricordato Albertini : “Eli Cohen è una figura di eccezionale valore, che ha vinto la paura di morire, di essere torturato, di essere scoperto per difendere il suo Paese minacciato da Stati, come l’Egitto e la Siria, che volevano annientarlo; trascurando i rischi che avrebbe potuto correre in una vita sacrificata per il bene dell’umanità”. L’intervento dell’ambasciatore e giornalista Dror Eydar ha rievocato la sua infanzia quando “andavo spesso in un giardino della cittadina israeliana di Petah Tikwa, intitolato alla memoria di Eli Cohen”. Collegando la figura di Cohen alla Torà, egli ha evidenziato che “quando mi sono imbattuto nella vicenda dei 12 esploratori venuti a esplorare Paese, la parola per definirli, meraglim (spie) mi ha ricordato Eli Cohen. Ricordo l’immagine scioccante del suo corpo appeso a Damasco e il suo impegno come valoroso agente segreto”. Nel suo intervento, riferimenti ebraici anche alla festa di Purim e alla forza della Regina Ester . “Come Cohen – ha detto – anche la Regina Ester è stata una personalità ebraica coraggiosa che ha agito per impedire la soluzione finale contro suo popolo, approfittando della debolezza del nemico. La condizione di popolo ebraico in pericolo per generazioni – ha proseguito – non è cambiata, ci sono state non poche figure che hanno contribuito alla sopravvivenza del popolo ebraico, molte anonime e note solo nell’ambiente in cui hanno operato. Eli Cohen è l’esempio dei tanti uomini e donne ai margini che vivono nell’anonimato e lottano senza tregua per il bene di Israele”. Eydar ha sottolineato il contributo di Cohen “che nella sua carriera di agente segreto nei Paesi arabi ha fornito informazioni che hanno aiutato il Paese a prepararsi per la vittoria nella Guerra dei Sei Giorni. Eli Cohen – ha concluso Eydar – era un uomo saggio e coraggioso che non pensava a se stesso ma al bene del suo popolo e lo ha pagato con la vita. Sia benedetta la sua memoria”.

    Enrico Mairov ha ringraziato l’ambasciatore Eydar per il suo discorso e ha colto l’occasione per elogiare l’impegno di Israele nella campagna vaccinale, dando poi la parola ai vari ospiti. Nonostante l’efficacia dei discorsi introduttivi, centro della serata è stata la testimonianza di Avraham Cohen, fratello di Eli, che in esclusiva ha fornito diversi dettagli biografici inediti ed estremamente interessanti.



    Chi era Eli Cohen e come mai è stato così importante

    Nato nella cosmopolita Alessandria d’Egitto, il 6 dicembre 1924 da famiglia ebraica siriana di Aleppo, secondo di otto figli, Eli Cohen fin da piccolo respirò l’atmosfera stimolante di quella città e del Paese. Tutto questo fino alla nascita di Israele e all’avvento del generale Nasser. Nel suo resoconto, Avraham Cohen ha riassunto la storia ebraica egiziana di quegli anni, mostrando diverse immagini, come la foto della grande sinagoga di Alessandria dove Eli fece il Bar Mitzvà, le foto di suo fratello da giovane e diverse immagini famigliari; ha enfatizzato i forti legami degli ebrei egiziani con gli ebrei del futuro Stato d’Israele, l’impegno del fratello nel movimento sionista locale chiamato il pioniere sionista e ha detto “anche nostro padre si recava spesso lì per affari e per turismo con il treno da Alessandria a Rehovot”. Un clima di estrema apertura e tolleranza in cui Eli studiò all’Università stringendo amicizie; ma dal 1948 tutto cambiò radicalmente.

    Con la nascita di Israele “gli attivisti sionisti furono imprigionati, il Rabbino Ventura venne cacciato come sionista e tutta la nostra famiglia emigrò in Israele, tranne Eli che rimase lì per finire l’Università, restando poi otto anni”. Davvero eroici furono gli ultimi dieci anni della sua vita in cui iniziò le sue attività di agente segreto. Imparò varie lingue per girare in lungo e in largo, dalla Siria, all’Egitto, a un breve viaggio a Buenos Aires, per le sue missioni ad alto rischio, per escogitare ogni genere di tattiche e stratagemmi. Il fratello ricorda il suo legame stretto con la famiglia d’origine, interrotto dalle sue “sparizioni”, le cartoline che ogni tanto scriveva alla famiglia, fino a quando, nel 1957, abbandonò l’Egitto.

    Intrecciando la storia famigliare alle vicissitudini storiche vissute da Israele, Avraham Cohen ha ricordato che “Dieci anni dopo la morte di Eli, il premier Itzhak Rabin partecipò alla commemorazione, evidenziando l’incredibile amore che aveva per la sua terra e il suo popolo. Eli era rimasto come volontario a vivere in Egitto durante le persecuzioni e il suo obiettivo era salvare gli ebrei locali”. Estremamente altruista, audace e poliglotta, parlava perfettamente arabo e i dialetti egiziani, siriani e libanesi, oltre a inglese, francese, ebraico, spagnolo e greco, si dedicò incondizionatamente alla causa di Israele e per questo venne arruolato per tradurre in ebraico le notizie in arabo su Israele.

    Sposatosi con una donna ebrea irachena, Nadia, (QUI la nostra intervista esclusiva a Nadia Cohen) il 31 agosto 1959 si arruolò nell’unità dell’intelligence israeliana 188 in cui iniziò la sua attività di spionaggio fino alla sua tragica morte cinque anni dopo. Dopo una breve parentesi in Argentina, quando entrò in Siria gli diedero una radio, un trasmettitore, una chiave per linguaggio Morse e un “sapone” in cui c’era plastico con cui fabbricare piccole bombe.


    Sacha Baron Cohen nella serie Netflix ‘The Spy’ sulla storia di Eli Cohen
    Venne addestrato ad essere una spia modello; presentato in Siria come un siriano vissuto in Argentina e tornato a Damasco dopo aver ereditato le ricchezza di uno zio, Eli riuscì ad accreditarsi nell’alta società e divenne molto amico del redattore di un giornale arabo molto importante che lo presentò al console siriano in Argentina, Amin El Hafez.

    Una vita pericolosa ed estremamente imprevedibile in cui attraversò peripezie di ogni genere, dall’arresto per aver appoggiato alcuni amici ebrei quando era ad Alessandria, a quando arrivò a Damasco riuscendo a carpire informazioni, trasferendole in segreto alle autorità israeliane con l’uso di microfilm e delle apparecchiature tecnologiche dell’epoca, spiando le mosse del nemico e inviando messaggi in codice. Grazie alle informazioni raccolte da Eli Cohen, Israele riuscì a prevalere nella Guerra dei Sei giorni e a conquistare le alture del Golan dalle cui postazioni i siriani bombardavano costantemente Israele.

    Poi qualcosa andò storto; dopo vari mesi in cui l’intelligence siriana aveva seguito le sue mosse, scoprendone le tattiche, fu smascherato. Il fratello ha ricostruito gli ultimi momenti di vita di Eli Cohen. “Rimase sempre calmo e freddo anche pochi istanti prima di morire, resistette con tutte le forze a chi voleva fargli scrivere una lettera contro Israele e invece scrisse una commovente missiva alla moglie”, ha rievocato Avraham. “Ti autorizzo a risposarti, cerca di crescere bene i tre nostri figli, Sophie, Irith e Shaul e di non passare il tempo a piangere per il passato ma di guardare al futuro”. Furono queste le sue ultime parole, prima di venire impiccato a soli 40 anni, dopo che il Rabbino di Damasco, poco prima dell’esecuzione, aveva recitato le preghiere per lui ed egli, con la consueta compostezza, ebbe la forza di correggerne alcuni errori.

    In conclusione della serata, il presidente Mairov ha ringraziato tutti gli ospiti ricordando la grande cultura e l’intelligenza di Eli Cohen che come ha detto il fratello “era una enciclopedia vivente, sapeva un po’ tutto su qualsiasi argomento”.



    Da qui

    www.mosaico-cem.it/comunita/inside...007-israeliano/
     
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    Eli Cohen. Il sacrificio del più grande “007 israeliano”

    di Roberto Zadik

    La Nuova Udai ha organizzato una serata in ricordo del coraggio dell’agente segreto Eli Cohen. Il sacrificio del più grande “007 israeliano” che permise a Israele di vincere la Guerra dei Sei Giorni.

    Eli Cohen non fu semplicemente un ottimo agente segreto, bensì un personaggio estremamente intenso e per certi versi eroico, che rischiò (e perse) la sua vita per salvare Israele. Al suo impegno e all’audacia che lo caratterizzarono nelle sue rischiose operazioni di spionaggio è stata dedicata la serata Eli Cohen-Eroe di Israele (QUI il video dell’incontro) organizzata su Zoom dalla Nuova Udai e dal suo presidente Enrico Mairov, il 4 marzo, con la partecipazione di personalità importanti, dai membri dell’Udai, come Gabriele Albertini, ex sindaco di Milano e europarlamentare, all’ambasciatore di Israele in Italia Dror Eydar, all’esperto del Mossad Avner Avraham, fino al fratello di Eli Cohen, Avraham che ha fornito una dettagliata testimonianza biografica, rivelando particolari inediti del fratello scomparso.

    Morto a soli 40 anni, il 18 maggio del 1965 a Damasco in Siria, impiccato sulla pubblica piazza, come ha ricordato Albertini : “Eli Cohen è una figura di eccezionale valore, che ha vinto la paura di morire, di essere torturato, di essere scoperto per difendere il suo Paese minacciato da Stati, come l’Egitto e la Siria, che volevano annientarlo; trascurando i rischi che avrebbe potuto correre in una vita sacrificata per il bene dell’umanità”. L’intervento dell’ambasciatore e giornalista Dror Eydar ha rievocato la sua infanzia quando “andavo spesso in un giardino della cittadina israeliana di Petah Tikwa, intitolato alla memoria di Eli Cohen”. Collegando la figura di Cohen alla Torà, egli ha evidenziato che “quando mi sono imbattuto nella vicenda dei 12 esploratori venuti a esplorare Paese, la parola per definirli, meraglim (spie) mi ha ricordato Eli Cohen. Ricordo l’immagine scioccante del suo corpo appeso a Damasco e il suo impegno come valoroso agente segreto”. Nel suo intervento, riferimenti ebraici anche alla festa di Purim e alla forza della Regina Ester . “Come Cohen – ha detto – anche la Regina Ester è stata una personalità ebraica coraggiosa che ha agito per impedire la soluzione finale contro suo popolo, approfittando della debolezza del nemico. La condizione di popolo ebraico in pericolo per generazioni – ha proseguito – non è cambiata, ci sono state non poche figure che hanno contribuito alla sopravvivenza del popolo ebraico, molte anonime e note solo nell’ambiente in cui hanno operato. Eli Cohen è l’esempio dei tanti uomini e donne ai margini che vivono nell’anonimato e lottano senza tregua per il bene di Israele”. Eydar ha sottolineato il contributo di Cohen “che nella sua carriera di agente segreto nei Paesi arabi ha fornito informazioni che hanno aiutato il Paese a prepararsi per la vittoria nella Guerra dei Sei Giorni. Eli Cohen – ha concluso Eydar – era un uomo saggio e coraggioso che non pensava a se stesso ma al bene del suo popolo e lo ha pagato con la vita. Sia benedetta la sua memoria”.

    Enrico Mairov ha ringraziato l’ambasciatore Eydar per il suo discorso e ha colto l’occasione per elogiare l’impegno di Israele nella campagna vaccinale, dando poi la parola ai vari ospiti. Nonostante l’efficacia dei discorsi introduttivi, centro della serata è stata la testimonianza di Avraham Cohen, fratello di Eli, che in esclusiva ha fornito diversi dettagli biografici inediti ed estremamente interessanti.



    Chi era Eli Cohen e come mai è stato così importante

    Nato nella cosmopolita Alessandria d’Egitto, il 6 dicembre 1924 da famiglia ebraica siriana di Aleppo, secondo di otto figli, Eli Cohen fin da piccolo respirò l’atmosfera stimolante di quella città e del Paese. Tutto questo fino alla nascita di Israele e all’avvento del generale Nasser. Nel suo resoconto, Avraham Cohen ha riassunto la storia ebraica egiziana di quegli anni, mostrando diverse immagini, come la foto della grande sinagoga di Alessandria dove Eli fece il Bar Mitzvà, le foto di suo fratello da giovane e diverse immagini famigliari; ha enfatizzato i forti legami degli ebrei egiziani con gli ebrei del futuro Stato d’Israele, l’impegno del fratello nel movimento sionista locale chiamato il pioniere sionista e ha detto “anche nostro padre si recava spesso lì per affari e per turismo con il treno da Alessandria a Rehovot”. Un clima di estrema apertura e tolleranza in cui Eli studiò all’Università stringendo amicizie; ma dal 1948 tutto cambiò radicalmente.

    Con la nascita di Israele “gli attivisti sionisti furono imprigionati, il Rabbino Ventura venne cacciato come sionista e tutta la nostra famiglia emigrò in Israele, tranne Eli che rimase lì per finire l’Università, restando poi otto anni”. Davvero eroici furono gli ultimi dieci anni della sua vita in cui iniziò le sue attività di agente segreto. Imparò varie lingue per girare in lungo e in largo, dalla Siria, all’Egitto, a un breve viaggio a Buenos Aires, per le sue missioni ad alto rischio, per escogitare ogni genere di tattiche e stratagemmi. Il fratello ricorda il suo legame stretto con la famiglia d’origine, interrotto dalle sue “sparizioni”, le cartoline che ogni tanto scriveva alla famiglia, fino a quando, nel 1957, abbandonò l’Egitto.

    Intrecciando la storia famigliare alle vicissitudini storiche vissute da Israele, Avraham Cohen ha ricordato che “Dieci anni dopo la morte di Eli, il premier Itzhak Rabin partecipò alla commemorazione, evidenziando l’incredibile amore che aveva per la sua terra e il suo popolo. Eli era rimasto come volontario a vivere in Egitto durante le persecuzioni e il suo obiettivo era salvare gli ebrei locali”. Estremamente altruista, audace e poliglotta, parlava perfettamente arabo e i dialetti egiziani, siriani e libanesi, oltre a inglese, francese, ebraico, spagnolo e greco, si dedicò incondizionatamente alla causa di Israele e per questo venne arruolato per tradurre in ebraico le notizie in arabo su Israele.

    Sposatosi con una donna ebrea irachena, Nadia, (QUI la nostra intervista esclusiva a Nadia Cohen) il 31 agosto 1959 si arruolò nell’unità dell’intelligence israeliana 188 in cui iniziò la sua attività di spionaggio fino alla sua tragica morte cinque anni dopo. Dopo una breve parentesi in Argentina, quando entrò in Siria gli diedero una radio, un trasmettitore, una chiave per linguaggio Morse e un “sapone” in cui c’era plastico con cui fabbricare piccole bombe.

    Venne addestrato ad essere una spia modello; presentato in Siria come un siriano vissuto in Argentina e tornato a Damasco dopo aver ereditato le ricchezza di uno zio, Eli riuscì ad accreditarsi nell’alta società e divenne molto amico del redattore di un giornale arabo molto importante che lo presentò al console siriano in Argentina, Amin El Hafez.

    Una vita pericolosa ed estremamente imprevedibile in cui attraversò peripezie di ogni genere, dall’arresto per aver appoggiato alcuni amici ebrei quando era ad Alessandria, a quando arrivò a Damasco riuscendo a carpire informazioni, trasferendole in segreto alle autorità israeliane con l’uso di microfilm e delle apparecchiature tecnologiche dell’epoca, spiando le mosse del nemico e inviando messaggi in codice. Grazie alle informazioni raccolte da Eli Cohen, Israele riuscì a prevalere nella Guerra dei Sei giorni e a conquistare le alture del Golan dalle cui postazioni i siriani bombardavano costantemente Israele.

    Poi qualcosa andò storto; dopo vari mesi in cui l’intelligence siriana aveva seguito le sue mosse, scoprendone le tattiche, fu smascherato. Il fratello ha ricostruito gli ultimi momenti di vita di Eli Cohen. “Rimase sempre calmo e freddo anche pochi istanti prima di morire, resistette con tutte le forze a chi voleva fargli scrivere una lettera contro Israele e invece scrisse una commovente missiva alla moglie”, ha rievocato Avraham. “Ti autorizzo a risposarti, cerca di crescere bene i tre nostri figli, Sophie, Irith e Shaul e di non passare il tempo a piangere per il passato ma di guardare al futuro”. Furono queste le sue ultime parole, prima di venire impiccato a soli 40 anni, dopo che il Rabbino di Damasco, poco prima dell’esecuzione, aveva recitato le preghiere per lui ed egli, con la consueta compostezza, ebbe la forza di correggerne alcuni errori.

    In conclusione della serata, il presidente Mairov ha ringraziato tutti gli ospiti ricordando la grande cultura e l’intelligenza di Eli Cohen che come ha detto il fratello “era una enciclopedia vivente, sapeva un po’ tutto su qualsiasi argomento”.

     
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    Leggi il discorso di Sacha Baron Cohen sulla lotta contro l'odio: "Abbiamo sempre una scelta"
     
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