Karl Marx (ebreo) e gli ebrei

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  1. Amos74
     
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    CITAZIONE (leviticus @ 12/8/2020, 20:29) 
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    ANTISIONISTA ANTE LITTERAM?

    Karl Heinrisch Marx discendeva da una famiglia ebraica aschenazita, terzogenito dei nove figli del facoltoso avvocato tedesco Herschel Meier Halevi Marx (1777-1838) e di Henriette Pressburg (1788-1863), una donna olandese originaria di Nimega, zia degli industriali Anton e Gerard Philips, futuri fondatori della Philips. Il padre, figlio del rabbino presso la sinagoga cittadina Mordechai Halevi Marx (1743-1804) e di Eva Lwow (1753-1823), fu il primo in seno alla propria famiglia a ricevere un'educazione secolare e a rifiutare la linea di successione rabbinica. Seguace dell'illuminismo, in particolar modo di Immanuel Kant e Voltaire, oltre che un convinto liberale, questi fu spesso impegnato nelle svariate campagne di riforma dell'assolutistico Stato prussiano. La madre era figlia del ricco mercante tessile proveniente da una famiglia rabbinica e chazzan presso la sinagoga di Nimega Isaac Heymans Pressburg (1747-1832) e di Nanette Salomons Cohen (1754-1833).
    Nel 1824 la famiglia si convertì al protestantesimo.

    Sterminata la produzione letteraria in vita e postuma libri, saggi, lettere, articoli, non è facile trovare tutti gli spunti seppur ha scritto dei testi specificatamente riguardanti gli ebrei.

    Vediamo una piccola antologia

    Marx e il suo odio antiebraico

    2011/10/06
    Ugo Volli


    Ho scoperto con qualche meraviglia su questo sito (www.Moked.it NdR) che c’è ancora chi loda Marx come saggio interprete dell’ebraismo, o magari come suo diffusore, per aver distinto nella sua operetta giovanile destinata al nostro popolo fra “ebrei mondani” e “ebrei di Shabbat”. Penso che la cosa meriti un approfondimento, perché si tratta di un pregiudizio pericoloso, che ha travolto generazioni di ebrei e migliaia di comunità. Dal punto di vista quantitativo, proprio a partire da questi testo di Marx e da prodotti analoghi, il comunismo è stato per il mondo ebraico orientale un male di dimensioni analoghe a quello del nazismo.

    Sul piano morale si può discutere, ma sarebbe opportuno farlo dopo aver letto almeno qualche testimonianza, come “Vita e destino” di Grossman. Comunque ritengo che più che una riflessione in questo caso sia necessaria una rilettura un po’ più ampia, e mi permetto di sottoporre ai lettori di questo sito una piccola antologia dei ragionamenti che Karl Marx fa intorno agli ebrei e all’ebraismo. Trattandosi di antisemitismo non solo di superficie, come quando Marx usa ebreo come insulto nella corrispondenza, ma insito nella sostanza stessa del pensiero, questa citazione è particolarmente velenosa e corre il pericolo di offendere giustamente qualcuno. Lo faccio consapevolmente, perché anch’io sono offeso dall’antisemitismo di Marx e ancor di più dalla pratica di sradicamento dell’ebraismo che è stata una costante nel secolo e mezzo abbondante di pratica politica seguita alla “Questione ebraica”, diciamo dalla socialdemocrazia tedesca a Rifondazione Comunista e alla Fiom, passando per Lenin e Stalin. Ecco dunque le righe più rilevanti che seguono la brillante scoperta marxiana che gli “ebrei dello Shabbat” sono diversi da quelli “di tutti i giorni”:

    “Consideriamo l’ebreo reale mondano, non l’ebreo del Shabbath, come fa Bauer, ma l’ebreo di tutti i giorni. Cerchiamo il segreto dell’ebreo non nella sua religione, bensì cerchiamo il segreto della religione nell’ebreo reale. Qual è il fondamento mondano del giudaismo? Il bisogno pratico, l’egoismo. Qual è il culto mondano dell’ebreo? Il traffico. Qual è il suo Dio mondano? Il denaro. Ebbene. L’emancipazione dal traffico e dal denaro, dunque dal giudaismo pratico, reale, sarebbe l’autoemancipazione del nostro tempo. Un’organizzazione della società che eliminasse i presupposti del traffico, dunque la possibilità del traffico, renderebbe impossibile l’ebreo. La sua coscienza religiosa si dissolverebbe come un vapore inconsistente nella vitale atmosfera reale della società. (…) Noi riconosciamo dunque nel giudaismo un universale elemento attuale antisociale, il quale, attraverso lo sviluppo storico, cui gli ebrei per questo lato cattivo hanno collaborato con zelo, venne sospinto fino al sua presente vertice, un vertice sul quale deve necessariamente dissolversi. L’emancipazione degli ebrei nel suo significato ultimo è la emancipazione dell’umanità dal giudaismo.(…) L’ebreo si è emancipato in modo giudaico non solo in quanto si è appropriato della potenza del denaro, ma altresì in quanto il denaro per mezzo di lui e senza di lui è diventato una potenza mondiale, e lo spirito pratico dell’ebreo, lo spirito pratico dei popoli cristiani. Gli ebrei si sono emancipati nella misura in cui i cristiani sono diventati ebrei.(…) Qual era in sé e per sé il fondamento della religione ebraica? Il bisogno pratico, l’egoismo. Il monoteismo dell’ebreo è perciò, nella realtà, il politeismo dei molti bisogni, un politeismo che persino della latrina fa un oggetto della legge divina.(…) Il Dio del bisogno pratico e dell’egoismo è il denaro. Il denaro è il geloso Dio d’Israele, di fronte al quale nessun altro Dio può esistere. (…) Il Dio degli ebrei si è mondanizzato, è divenuto un Dio mondano. La cambiale è il Dio reale dell’ebreo. Il suo Dio è soltanto la cambiale illusoria. Ciò che si trova astrattamente nella religione ebraica, il disprezzo della teoria, dell’arte, della storia, dell’uomo come fine a se stesso, è il reale, consapevole punto di partenza, la virtù dell’uomo del denaro. (…) La chimerica nazionalità dell’ebreo è la nazionalità del commerciante, in generale dell’uomo del denaro. La legge, campata in aria, dell’ebreo è soltanto la caricatura religiosa della moralità campata in aria e del diritto in generale, dei riti soltanto formali, dei quali si circonda il mondo dell’egoismo. (…) Il giudaismo, come religione, non ha potuto, da un punto di vista teorico svilupparsi ulteriormente, poiché la concezione del bisogno pratico è per sua natura limitata e si esaurisce in pochi tratti..(…) Poiché l’essenza reale dell’ebreo nella società civile si è universalmente realizzata, mondanizzata, la società civile non poteva convincere l’ebreo della irrealtà della sua essenza religiosa, che è appunto soltanto la concezione ideale del bisogno pratico. Non quindi nel Pentateuco o nel Talmud, ma nella società odierna noi troviamo l’essenza dell’ebreo odierno, non come essere astratto ma come essere supremamente empirico, non soltanto come limitatezza dell’ebreo, ma come limitatezza giudaica della società. Non appena la società perverrà a sopprimere l’essenza empirica del giudaismo, il traffico e i suoi presupposti, l’ebreo diventerà impossibile, perché la sua coscienza non avrà più alcun oggetto, perché la base soggettiva dei giudaismo, il bisogno pratico si umanizzerà, perché sarà abolito il conflitto dell’esistenza individuale sensibile con l’esistenza dell’uomo come specie. L’emancipazione sociale dell’ebreo è l’emancipazione della società dal giudaismo. (www.marxists.org/italiano/marx-enge...ioneebraica.htm)

    L’idea che il compito della rivoluzione (dell’emancipazione, della modernità) sia “sopprimere il giudaismo”, cioè che il problema ebraico debba avere una “soluzione finale” eliminativa, è comune al marxismo e al nazismo. E’ comune anche una delle motivazioni di fondo, cioè il legame strutturale supposto fra ebraismo e commercio, dunque capitalismo, che Marx fa risalire addirittura a un intrinseco carattere “limitato”, “antisociale” e “sprezzante dell’uomo” della “religione giudaica”.

    Non si può ovviamente sottovalutare la differenza fra un antagonismo razziale e uno di classe, cioè sociale e culturale, che hanno esiti pratici diversi come l’eliminazione diretta delle persone portatrici della razza o la distruzione politica della classe nemica, per mezzo della fame o di “mezzi amministrativi”. Resta l’obiettivo comune dell’estirpazione dell’ebraismo. Non si può negare il fatto che le idee di Marx e quelle dei numerosi altri antisemiti socialisti, di origini ebraiche o meno, ebbero un influsso enorme ed enormemente distruttivo sulla storia recente del popolo ebraico. Se è possibile e giusto diffidare dalla filosofia di Heidegger, dalle teorie giuridiche di Schmitt, dalla prosa di Celine in quanto strutturalmente compromesse col nazismo, lo stesso bisogna fare per il filone di pensiero marxista.

    L’Unione Informa 21 agosto 2011

    Da qui

    www.kolot.it/2011/10/06/marx-e-il-suo-odio-antiebraico/

    Ciao Levi,
    Ho ripreso questo tuo vecchio intervento poiché ritengo la tematica estremamente interessante, ed altresì di rilievo storico non indifferente, considerati e la terribile storia dell’antisemitismo, moderno e non, e la caratura intellettuale e politica di Karl Marx, riconosciuta in modo quasi unanime anche dai suoi avversari più accaniti.

    Due premesse fondamentali:

    -Benché io mi consideri un marxista (secondo visione democratica e filo-Stato di Diritto, legata viepiù ad un sano “scetticismo gnoseologico” di matrice kantiana, molto lontana pertanto da interpretazioni dogmatiche o peggio totalitarie del pensiero dell’uomo di Treviri, bolscevismo in primis ), non condivido affatto tali parole scritte dal venticinquenne Marx in questa sua opera giovanile, le quali si prestano ad una oggettiva interpretazione antisemita, soprattutto se enucleate dal contesto complessivo dello scritto. Io non credo affatto che Marx sia stato, durante la sua vita o parte di essa, un antisemita, e cercherò di dare a queste sue frasi una esegesi teleologica, l’approccio interpretativo che ritengo essere sempre il preferibile in casi del genere, ma è pur vero che , al di là degli scopi che un autore si prefigge nell’utilizzare un certo tipo di espressioni, esiste un “significato proprio” delle parole che costituisce la prima interpretazione delle stesse quando un lettore si avvicina ad un’opera, e la oggettiva facilità con la quale le espressioni estratte dal prof. Volli dalla “Quesitone Ebraica” possono assumere una valenza antisemita è sotto gli occhi di tutti. Devo dire che rispetto ovviamente la posizione espressa dal prof. Volli, intellettuale che apprezzo, ma altresì che considero questo suo articolo frutto di una apodittica lettura della tematica, non scevra da valutazioni ideologiche aprioristicamente avverse.
    Trovo ad esempio del tutto infondate, sul piano storico ,le sue seguenti affermazioni:

    L’idea che il compito della rivoluzione (dell’emancipazione, della modernità) sia “sopprimere il giudaismo”, cioè che il problema ebraico debba avere una “soluzione finale” eliminativa, è comune al marxismo e al nazismo.(…)Non si può negare il fatto che le idee di Marx e quelle dei numerosi altri antisemiti socialisti, di origini ebraiche o meno, ebbero un influsso enorme ed enormemente distruttivo sulla storia recente del popolo ebraico. Se è possibile e giusto diffidare dalla filosofia di Heidegger, dalle teorie giuridiche di Schmitt, dalla prosa di Celine in quanto strutturalmente compromesse col nazismo, lo stesso bisogna fare per il filone di pensiero marxista.

    Il collegamento che il prof. Volli fa, su questo punto, tra marxismo e nazionalsocialismo mi appare assurdo. Il movimento marxista, e socialista in generale, non ha mai cercato di “sopprimere il giudaismo” .Com’è noto, esiste una polemica marxiana e marxista contro la religione in generale, non contro quella ebraica in particolare, ma si tratta di una polemica di carattere intellettuale che non ha mai impedito a lavoratori credenti, ebrei, cristiani o di altre fedi, l’adesione ai partiti marxisti; Marx non ha mai sostenuto che le religione si dovesse “sopprimere”, anzi ha sempre difeso la libertà religiosa sino alla sua ultima opera, la “Critica del Programma di Gotha”. Marx riteneva che l’emancipazione da lui considerata massima, e cioè quella economica in una società socialista, avrebbe determinato la scomparsa progressiva ed automatica della religione, che lui sosteneva essere semplicemente una “sovrastruttura” sorta nell’ambito delle società i cui rapporti di produzione, basati sullo sfruttamento di classe, “costringevano” le masse a trovare nella “illusione religiosa” un conforto metafisico verso le proprie condizioni di vita. Una teoria a mio avviso non priva di meriti sul piano squisitamente storico-analitico, ma invero eccessivamente schematica, frutto di una visione “economicistica” dell’uomo che non è stata in grado di cogliere le fondamentali ed irrinunciabili esigenze spirituali che permeano l’essere umano, il quale non può essere considerato solo un “homo faber”( come sapete personalmente io sono un credente in HaShem, quindi la mia opinione non può coincidere con quella di Marx…);teoria però che nulla ha a che vedere con le persecuzioni antireligiose che le dittature bolsceviche hanno perpetrato verso i credenti: la critica di Marx, come detto, non contesta in alcun modo il diritto di un essere umano a professare la fede in cui crede, ma si basa come detto sulla convinzione che il fenomeno religioso sia transeunte, e destinato ad estinguersi “ per morte propria” nella futura società socialista.
    Aggiungo che se è vero, come detto in precedenza, che nei cosiddetti “paesi socialisti” abbiamo assistito a frequenti e diffuse violazioni del diritto alla libertà religiosa, è anche vero che l’inizio dell’emancipazione per gli Ebrei russi avvenne proprio grazie alla Rivoluzione d’Ottobre: furono i bolscevichi della prima generazione, capitanati da Lenin ( di parziali ascendenze ebraiche) e Trockij ( ebreo) ad abolire tutte le leggi che discriminavano gli Ebrei, e furono sempre costoro a combattere contro l’endemico antisemitismo di cui era permeata l’intera società russa, in tutte le sue classi sociali, antisemitismo sviluppatosi con il determinante contributo del secolare, e violento, antiebraismo teologico professato dalla chiesa ortodossa russa, una tra le chiese cristiane più antisemite della storia. E’ altresì vero che sotto la tirannia di Stalin assistiamo a ritorno di persecuzioni statali contro gli Ebrei, ma ciò non toglie i meriti che nella lotta contro l’antisemitismo ebbero i primi bolscevichi. Ricordo del resto che nel 1918 la maggioranza assoluta del comitato centrale dello stesso Partito Comunista Russo era composta da Ebrei, e non mi sembra questo un dato di secondo piano.
    Tornando alla posizione di Marx sulla questione ebraica, possiamo dire che la stessa sia stata oggetto di un’ampia controversia storiografica, sintetizzabile in tre interpretazioni fondamentali (faccio qui ampio riferimento all’opera del prof. Enzo Traverso “I marxisti e la questione ebraica”):

    La prima, che si potrebbe definire teologica, vede nel messianismo ebraico uno degli elementi costitutivi del pensiero marxiano, benché nascosto; la seconda considera Marx, o almeno il giovane Marx, sostanzialmente un antisemita; la terza vede in “Sulla questione ebraica” (1843) il punto di partenza di un'analisi scientifica della questione ebraica.
    Per quanto riguarda il primo filone, uno dei rappresentanti principali è il filosofo tedesco Karl Loewith, che ipotizzò una serie di corrispondenze formali tra il pensiero marxiano e la teologia monoteista giudaico-cristiana: l'antagonismo proletariato/borghesia viene da lui accostato a quello Cristo/Anticristo, e l'idea del comunismo come passaggio dal regno della necessità al regno della libertà viene accostata alla visione teologica dell'avvento del regno di Dio. La tesi di un Marx secolarizzatore socialista dell'escatologia ebraica fu sostenuta, alla fine del XIX secolo, anche dal rivoluzionario ebreo Bernard Lazare, nel suo “L'antisemitismo. La sua storia e le sue cause” (1894), nel quale scrisse: “Questo discendente di rabbini e dottori ereditò per intero la forza logica dei suoi avi: fu un talmudista lucido e chiaro, che non si faceva distrarre dalle noiose minuzie della pratica, un talmudista prestato alla sociologia, che applicò le sue innate qualità di esegeta all'economia politica. Fu animato da quel vecchio materialismo ebraico che sognava continuamente un paradiso in terra e manteneva comunque una lontana e problematica speranza di un Eden dopo la morte; ma non fu solo un logico, fu anche un ribelle, un agitatore, un aspro polemista, e prese la sua attitudine al sarcasmo e all'invettiva da dove l'aveva presa Heine: da fonti ebraiche”. Un altro rappresentante di questa corrente è l'americano Murray Wolfson, che ricercò paragoni di carattere religioso per descrivere le tre fasi dell'evoluzione filosofica di Marx intercorsa tra il 1843 e il 1845: lo scetticismo dell'età illuministica per la fase razionalista (Critica della filosofia del diritto di Hegel, 1843), l'umanesimo cristiano per la fase materialistico – umanista influenzata da Feuerbach (Manoscritti economico-filosofici, Sulla questione ebraica) e il monoteismo ebraico per la fase materialistico – dialettica, iniziata con le Tesi su Feuerbach (1845) e culminata col Capitale (1867). Ora, una corrente marxista ispirata al messianismo ebraico si manifestò effettivamente all'inizio del Novecento, negli scritti di Ernst Bloch, del giovane Lukacs e soprattutto di Walter Benjamin, ma per quanto riguarda Marx di particolare rilievo ritengo sia il giudizio del professore e politologo israeliano Shlomo Avineri, uno dei più autorevoli studiosi contemporanei di Marx, secondo il quale l'“elemento escatologico” presente nella sua elaborazione non deve essere ricercato nella tradizione giudaico-cristiana, ma piuttosto nei suoi “antecedenti hegeliani” . Nato in una famiglia ebraica convertita al luteranesimo, Marx non ricevette alcuna educazione religiosa e crebbe, per influenza del padre, in un ambiente liberale ed illuminista. Si considerava tedesco, ateo, comunista, e non si riconobbe mai come ebreo o come ebreo convertito. Isaac Deutscher ha coniato in proposito l'espressione “ebreo non-ebreo”: un'attitudine che nei decenni successivi caratterizzò molti ebrei marxisti e rivoluzionari di spicco, da Rosa Luxemburg a Otto Bauer, da Karl Radek a Lev Trockij;

    L'interpretazione di Marx come antisemita è stata sostenuta da alcuni storici, per primo Edmund Silberner in un articolo pubblicato nel 1949 sulla rivista Historia Judaica. In seguito Leon Poliakov, nella sua monumentale “Storia dell'antisemitismo”, ha definito Marx l'iniziatore dell'“antisemitismo ebraico”, per arrivare a Robert Misrahi che ha addirittura visto in “Sulla questione ebraica” un “appello al genocidio”. Queste interpretazioni si basano sull'estrapolazione di singole frasi dall’opera, private del contesto , ma non tengono conto del complessivo ragionamento marxiano, nonché della vita complessiva di Marx, il quale ricordiamo ha scritto questo testo molto giovane ( venticinquenne) e non è più tornato sull’argomento in seguito: non abbiamo nessun altro suo scritto successivo che presenti specifiche affermazioni ostili all’ebraismo, e la sua ampia e documentata attività organizzativa del movimento operaio, culminata nella fondazione della prima Associazione Internazionale dei Lavoratori, è sempre stata improntata all’unione di tutti i lavoratori del mondo, senza distinzione alcuna di etnia o di religione. Questi sono fatti oggettivi.
    Il giudizio di questi autori può forse essere applicato ad alcuni autori socialisti utopisti francesi contemporanei del giovane Marx, come Alphonse Toussenel, autore dell'opuscolo “Gli ebrei, regnanti dell'epoca” (1845), o Pierre Joseph Proudhon, tanto ammirato dagli anarchici, che auspicò la chiusura di tutte le sinagoghe francesi ed addirittura lo sterminio fisico degli Ebrei,precedendo lui sì ,sul piano teorico, la “soluzione finale” hitleriana;

    La terza interpretazione, quella di un Marx iniziatore di un'analisi materialistica, e quindi scientifica, della questione ebraica, merita a mio avviso di essere approfondita, al di là delle tesi esposte in “Sulla questione ebraica”, che ripeto io NON condivido nella parte direttamente polemica contro il giudaismo (considero invece di meritevole attenzione le altre parti dello scritto) .
    Come è noto Sulla questione ebraica, scritto nell'autunno del 1843 e pubblicato nel febbraio 1844 sugli Annali franco-tedeschi, fu una risposta a “La questione ebraica “ del filosofo tedesco Bruno Bauer,suo amico personale. Bruno Bauer aveva negato che gli ebrei potessero ottenere i diritti civili all'interno dello stato prussiano, dominato dalla religione cristiana. Marx invece si pronunciò per la possibilità di ottenere questi diritti, precisando però che ciò non voleva dire avere risolto tutti i problemi: “Noi dunque non diciamo, con Bauer, agli ebrei: voi non potete essere emancipati politicamente, senza che vi emancipiate radicalmente dal giudaismo. Noi diciamo loro piuttosto: è perché voi potete essere emancipati politicamente, senza distaccarvi completamente e radicalmente dal giudaismo, che l'emancipazione politica stessa non corrisponde all'emancipazione umana”. . Nella prima parte del suo scritto Marx esaminò le differenti forme nelle quali si manifestava la questione ebraica in Germania, in Francia e negli Stati Uniti. In Germania, ove lo stato si fondava sulla religione cristiana, essa assumeva un carattere teologico. In Francia e negli Stati Uniti, ove lo stato era quasi completamente o completamente laico, l'emancipazione politica degli ebrei era più facile. Ma, ribadiva, Marx, ciò non andava a risolvere il problema dell'alienazione umana: “L'emancipazione dello stato dalla religione non è l'emancipazione dell'uomo reale dalla religione” . Gli ebrei avrebbero potuto emanciparsi come uomini soltanto abbandonando la loro religione, il giudaismo: “Bauer considera l'essenza ideale e astratta dell'ebreo, la sua religione, come se fosse la sua essenza totale...Noi non cerchiamo il segreto dell'ebreo nella sua religione, ma cerchiamo il segreto della religione nell'ebreo reale”. Questa puntualizzazione di tipo feuerbachiano (la religione come forma di proiezione antropologica) apre la seconda parte del saggio, nella quale Marx cercò di arrivare a una definizione del giudaismo, della sua natura e del suo significato storico. Lo fece riprendendo alcuni temi già presenti in Feuerbach (il giudaismo come religione dell'egoismo) e più in generale nei giovani hegeliani, come per esempio l'identificazione ebreo = denaro introdotta dal pensatore ebreo Moses Hess.
    Marx vedeva nel denaro e nel commercio la natura del giudaismo e nel contempo i tratti fondamentali della società borghese. L'emancipazione umana coincideva dunque con l'emancipazione degli ebrei dal giudaismo. Eliminando il denaro e il commercio il giudaismo stesso sarebbe sparito.
    Due opere influenzarono in maniera fondamentale queste conclusioni, che senza dubbio sono assai schematiche ed apodittiche , di Marx: “L'essenza del cristianesimo”, di Ludwig Feuerbach (1841) e “L'essenza del denaro”, di Moses Hess (1843). Quest'ultimo a Parigi strinse un legame di amicizia con Marx, e il suo scritto, benché pubblicato solo nel 1845, fu composto originariamente per lo stesso numero degli Annali franco-tedeschi nel quale comparve ”Sulla questione ebraica”. Alla funzione di Dio nella religione corrispondeva, secondo Hess, la funzione del denaro nella società. Il futuro ispiratore del sionismo socialista vedeva gli uomini della società borghese “come animali da preda, come vampiri, come ebrei e lupi affamati di denaro”.

    Sullo scritto di Marx possiamo evidenziare che:
    -Il Marx venticinquenne che scrive tale opera non è ancora approdato al “socialismo scientifico”; il suo pensiero è ancora in fieri;
    -L'identificazione giudaismo = commercio = società borghese è molto schematica e di dubbia storicità; essa riflette in via tendenziale la condizione delle comunità ebraiche dell'Europa centrale all'epoca in cui Marx scriveva, e non certo del mondo ebraico nel suo complesso. Basti pensare che la gran parte degli Ebrei europei viveva allora nei paesi dell’est, nei quali era quasi totalmente assente la rivoluzione industriale, per non partale dei numerosi Ebrei centro-europei che appartenevano in quei tempi alla classe operaia (Marx in questo scritto non parla affatto del proletariato, non essendo ancora arrivato a teorizzare la funzione storica e rivoluzionaria di tale classe). Inoltre, da un punto di vista economico il giudaismo ebbe il proprio apogeo nel corso del feudalesimo e non del capitalismo. La nascita del capitalismo in Europa occidentale, nel XIII e XIV secolo, coincise piuttosto con l'espulsione degli Ebrei dai nascenti mercati nazionali. Ma anche se volessimo storicamente determinare un collegamento tra le comunità ebraiche ed il sorgere e lo sviluppo del capitalismo, tra collegamento non potrebbe che assumere connotati ampiamente positivi. Come lo stesso Marx affermerà qualche anno dopo nel “Manifesto della Partito Comunista”, il capitalismo ha svolto nella storia una funzione “sommamente rivoluzionaria”: se quindi gli Ebrei ne sono stati un architrave, ammesso che ciò sia storicamente vero, essi stessi hanno assunto il ruolo di grandi rivoluzionarti del nostro tempo;
    -Ipotizzando l'emancipazione degli ebrei dal giudaismo, Marx si situa decisamente in una prospettiva assimilazionista, negando la possibilità della conservazione di una cultura e nazionalità ebraiche specifiche, secondo una prospettiva molto diffusa nell’epoca, anche tra gli esponenti dell’Haskalah (l'Illuminismo ebraico): lo stesso Moses Mendelsohn, figura principale della cultura gudaico-tedesca del XVIII secolo, si batté per l'assimilazione linguistica degli ebrei e per l'abbandono dell'yiddish, da lui considerata una non-lingua; I cosiddetti maskilim (seguaci dell'Haskalah),condussero una strenua battaglia per l'integrazione degli ebrei nello stato-nazione tedesco tramite l’assimilazione (lo storico Heinrich Graetz si rifiutò di far tradurre in yiddish una propria opera).
    Non mi pare pertanto azzardato affermare che la posizione di Marx in quest’opera sia almeno in parte debitrice nei confronti del pensiero illuministico del tempo che caratterizzava i liberali anche ebrei, benché io ribadisca la sua inaccettabilità per le parole usate contro gli Ebrei e l’Ebraismo, le quali tuttavia, reinterpretate alla luce della successiva adesione di Marx al socialismo ed alla funzione rivoluzionaria del sistema capitalistico, possiamo rileggere a mio avviso ,per quanto possa sembrare a prima vista paradossale, in un elogio della “produttività capitalistica ebraica” proprio alla luce del pensiero marxiano maturo.

    In ultimo: Friedrich Engels,il più stretto collaboratore di Marx nonché egli stesso pilastro del movimento socialista del XIX secolo , scrisse nel 1890 un articolo sull’antisemitismo pubblicato sull’ Arbeiterzeitung, quotidiano dei socialisti austriaci. L'articolo di Engels fu molto importante all'epoca in quanto favorì l'inserimento della lotta all'antisemitismo tra gli specifici compiti del movimento operaio internazionale. Per Engels, l'odio moderno verso gli ebrei era fortemente condizionato da una “reazione degli strati sociali arretrati, medievali, contro la società moderna, composta essenzialmente da capitalisti e lavoratori salariati”. La base sociale del fenomeno stava dunque nei settori della piccola borghesia tradizionale rovinati e impoveriti dallo sviluppo capitalistico: la casta feudale degli Junker in Prussia, gli “artigiani e i rigattieri” in Austria. Pertanto,un fenomeno reazionario ed ostile al progresso dell'umanità.

    Engels terminò il proprio articolo riconoscendo il ruolo degli ebrei nel movimento operaio:

    “Noi dobbiamo molto agli ebrei. Tralasciando Heine e Boerne, Marx era ebreo per sangue, Lassalle era ebreo, molti dei nostri migliori compagni sono ebrei”. Continuò citando Victor Adler, Eduard Bernstein e Paul Singer. Nel 1887, probabilmente influenzato da Eleanor Marx, Engels si era informato sulla vita nei primi circoli operai creati nell'East End londinese dagli immigrati ebrei dell'Europa orientale, e nel 1891, secondo la testimonianza dell'ebreo socialista americano Abraham Cahan, progettò di scrivere la prefazione a un'edizione yiddish del Manifesto.

    Edited by Amos74 - 30/11/2020, 12:32
     
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