Il Fplp: la storia fino a oggi

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    Che cos’è il Fronte Popolare di Liberazione della Palestina

    Mauro Indelicato

    26 DICEMBRE 2021


    Il Fronte Popolare di Liberazione della Palestina è uno dei movimenti palestinesi più importanti, in passato anche organico all’Olp, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina. Fondato nel 1967 da George Habash, il gruppo negli anni ha ruoli di primo piano in alcuni degli attacchi di matrice palestinese compiuti soprattutto in occidente e in territorio israeliano. Nonostante una perdita di consensi nei territori, il Fronte è ancora oggi attivo.

    La nascita del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina
    La fondazione del Fronte è datata 1967. In quell’anno un palestinese cristiano originario di Lidda decide di fondere più movimenti. Si tratta di George Habash, il quale già nel 1953 dà vita al Movimento Nazionalista Arabo, un gruppo che concepisce la causa palestinese nella più ampia questione di rinascita del mondo arabo.

    Habash matura questa convinzione durante gli anni di permanenza a Beirut, città in cui compie i suoi studi e dove si laurea in medicina presso l’Università americana nel 1952. Le sue idee hanno un orientamento marxista e laico ed è per questo che nel 1967 decide di organizzarsi assieme al Fronte di Liberazione per la Palestina, agli Eroi del Ritorno e ai Giovani Vendicatori per dare vita al nuovo movimento del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina.


    La presenza del termine “popolare” nel nome del nuovo gruppo indica espressamente l’adesione agli ideali marxisti e comunisti, diventando così il movimento più a sinistra all’interno dell’universo della resistenza palestinese. Habash viene riconosciuto quale leader e subito il Fronte trova agganci in diverse regioni del medio oriente per mettere in piedi le sue ramificazioni.

    A livello internazionale un importante appoggio viene dato, a partire dal 1969, dalla Libia di Muammar Gheddafi. Ma sedi del gruppo vengono fondate anche in Arabia Saudita e in Kuwait, almeno secondo le indicazioni dell’intelligence israeliana di quegli anni.

    L’obiettivo è promuovere i propri ideali nell’intero mondo arabo, formando anche milizie paramilitari. Si calcola che entro il 1970 il Fronte è in grado già di addestrare fino a 3.000 combattenti. Non mancano però defezioni già subito dopo la fondazione. Il Fronte di Liberazione esce nel 1968, l’anno successivo da una costola del movimento di Habash fuoriescono esponenti maoisti che danno origine al Fronte Democratico di Liberazione.


    Nonostante la perdita di alcune fazioni, il Fronte comincia a diventare uno dei riferimenti tra i vari movimenti palestinesi a partire dai primi anni ’70. In quel periodo, è bene specificare, a dominare la scena politica palestinese è soprattutto Yasser Arafat, numero uno di Al Fatah.

    L'ideologia del gruppo
    Il primo elemento che risalta nell’ideologia del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina riguarda l’adesione alla causa palestinese. Secondo Habash e i suoi seguaci, la priorità è ridare le terre ai cittadini palestinesi fuoriusciti dopo la fondazione dello Stato di Israele nel 1948. Contestualmente a questo principio, il Fronte nega il diritto all’esistenza dello Stato ebraico. Dunque la Palestina dovrebbe sorgere nell’intero territorio israeliano, negando la possibilità di coesistenza di due nazioni.

    L’altro elemento importante dell’ideologia del Fronte è il panarabismo. La difesa della causa palestinese, secondo questa visione, passa anche da uno sguardo a tutto tondo sul mondo arabo. E, di conseguenza, su una rivoluzione da applicare all’interno di esso. Lo stesso Habash spiega questo concetto nel 1973 al giornalista John Coley: “La società scientifica d’Israele contro la nostra arretratezza nel mondo arabo – si legge nelle sue dichiarazioni – Ciò ci chiama alla totale ricostruzione della società araba, trasformandola in una società del XX secolo”. Una trasformazione che deve passare attraverso una secolarizzazione e l’emancipazione delle classi più povere, chiamate a lottare contro gli stessi Stati arabi definiti “reazionari”.


    E qui si arriva al terzo punto dell’ideologia del Fronte. Il gruppo si distingue da molti altri dell’universo palestinese per essere di orientamento marxista-leninista. Circostanza che negli anni procura appoggi diretti e indiretti da parte del Kgb di Mosca.

    L'adesione all'Olp
    Il Fronte Popolare di Liberazione della Palestina aderisce all’Olp nel 1968. Ma i contrasti con l’organizzazione, dominata al suo interno da Arafat e Al Fatah, minano il rapporto tra le parti. Nonostante l’inserimento del Fronte nel Consiglio Esecutivo dell’Olp, già nel 1974 le divergenze sono ben evidenti. In particolare, il movimento fondato da Habash contesta i tentativo di Al Fatah di accettare una soluzione binazionale della crisi palestinese. L’esistenza di uno stato di Palestina al fianco di uno israeliano non viene contemplata dal Fronte.

    Per questo motivo il gruppo nel 1974 viene allontanato dal Consiglio Esecutivo dell’Olp, pur rimanendo comunque all’interno dell’organizzazione. Un riavvicinamento si ha soltanto nel 1981, ma anche negli anni successivi non mancano alti e bassi tra i vertici del Fronte e quelli dell’Olp.


    I sospetti sulla strage di Bologna
    La sigla del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina diventa nota in Italia con riferimento alla strage del 2 agosto 1980, attuata all’interno della stazione di Bologna. Si tratta del più grave attentato terroristico avvenuto nel nostro Paese dal dopoguerra in poi. Una bomba piazzata nella sala d’attesa dello scalo del capoluogo emiliano, uccide 85 persone.

    Tra le varie piste investigative, c’è anche quella che riconduce al Fronte. A sostenerla, negli anni successivi alla strage, è anche l’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Un’inchiesta in tal senso viene aperta nel 2011, ma il fascicolo è chiuso già nel 2015. L’ex capo dello Stato, in particolare, parla di “incidente della resistenza palestinese”. Secondo questa ricostruzione, l’azione risulterebbe una reazione del Fronte alla violazione, da parte dell’Italia, del cosiddetto “Lodo Moro”. Ossia il tacito accordo stipulato nel 1973 dall’allora ministro degli Esteri, Aldo Moro, con il Fronte, in cui i palestinesi garantiscono di non compiere attentati in Italia in cambio del via libera del nostro Paese al passaggio di uomini e armi.


    L’arresto di tre italiani che trasportano due missili terra aria del Fronte avvenuto a Ortona nel 1979, di fatto viene visto come una cessazione dell’accordo. Da qui la ritorsione attuata a Bologna. Tra i sostenitori di questa tesi c’è chi prende come prova l’allarme più volte lanciato da Beirut dal colonnello Stefano Giovannone, tra i vertici dei nostri servizi segreti in medio oriente. Francesco Cossiga inoltre indica nella collaborazione con il terrorista venezuelano Carlos la chiave di volta dell’attacco.

    Questo filone di inchiesta non viene tuttavia ritenuto veritiero. La magistratura riconosce quali esecutori materiali alcuni membri dei Nar, i Nuclei Armati Rivoluzionari, formazione di estrema destra. Ancora oggi i mandanti non hanno un nome, la pista che porta al Fronte non viene comunque caldeggiata.

    Ad ogni modo, i sospetti sulla strage di Bologna fanno emergere uno spaccato importante dell’attività del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina. È infatti accertata la collaborazione con il terrorista Carlos. Alcune delle azioni portate avanti in Europa, relative soprattutto a dirottamenti aerei e a sparatorie contro obiettivi israeliani sensibili nel Vecchio Continente, sarebbero figlie di questa intesa.


    Il fronte dopo gli accordi di Oslo
    Negli anni ’90 avvengono due fatti importanti destinati a incidere nella storia del Fronte. Il primo ha a che fare con la politica interna. L’Olp sigla nel 1993 ad Oslo un accordo con Israele. Viene riconosciuto il diritto all’esistenza dello Stato ebraico e si dà vita all’Autorità Nazionale Palestinese. L’altro evento riguarda la fine della guerra fredda e la caduta dell’Unione Sovietica. Entrambi gli avvenimenti spiazzano il Fronte.

    L’accordo tra Olp e Israele emargina politicamente il movimento di Habash, da sempre contrario alla politica dei due Stati. Questo costringe il Fronte a guardare a nuove alleanze inedite, come tra tutte quella con Hamas, gruppo islamista ben lontano quindi dagli ideali secolari e marxisti. La fine dell’Urss toglie poi un ombrello a livello internazionale e un riferimento ideologico per gli attivisti.

    Il Fronte va quindi in difficoltà. Inizia a essere meno radicato nella popolazione palestinese e ad avere meno peso all’estero e in seno all’Olp. Tra le classi più povere, dove tradizionalmente ha più presa, si diffonde maggiormente negli anni ’90 l’ideologia islamista ed è Hamas a diventare con il tempo il principale antagonista di Al Fatah.


    Il ritiro dalla scena di George Habash
    Spinto forse anche da questi eventi, il fondatore del Fronte decide di ritirarsi. È l’estate del 2000 e George Habash lascia il testimone ad Abu Ali Mustafa. Da questo momento in poi, l’oramai ex leader dell’organizzazione sparisce dai radar politici. Si ritira a vita privata e muore all’età di 81 anni ad Amman, in Giordania, a seguito di un attacco cardiaco. Dopo la notizia della sua morte, il presidente palestinese Abu Mazen ordina le bandiere a mezz’asta e il lutto nazionale di tre giorni.

    La partecipazione alla seconda Intifada
    Poco dopo il ritiro di Habash, nel settembre del 2000 scoppia la seconda intifada. Il successore Abu Ali Mustafa decide di rendere il Fronte tra gli attori più importanti di questa fase. Il braccio armato del movimento viene accusato dalle autorità israeliane di compiere in pochi mesi almeno dieci attentati con l’ausilio di autobomba.

    Il 27 agosto 2001, come risposta, le stesse forze dello Stato ebraico uccidono in un raid Abu Ali Mustafa. Poche ore dopo, per rappresaglia, il Fronte uccide Meir Lixenberg, consigliere per la sicurezza in quattro insediamenti israeliani in Cisgiordania.


    Il timone del Fronte viene quindi preso da Ahmad Al Sadat. Il 21 ottobre il movimento prende di mira un esponente del governo israeliano. Viene infatti ucciso il ministro del turismo, Rehavam Zeevi. Per questo motivo Al Sadat viene arrestato poche settimane dopo e tradotto in carcere, lì dove attualmente si trova.

    Fino alla fine della seconda intifada, attestata tra il 2004 e il 2005, il Fronte è protagonista di altri attacchi e altri attentati in territorio israeliano.

    Il movimento oggi
    Sotto il profilo politico, il Fronte è la terza forza all’interno dell’Olp e delle istituzioni palestinesi. Nelle elezioni del dicembre 2005, le ultime per il parlamento di Ramallah, le liste ottengono il 4.25% dei consensi, dietro Al Fatah e Hamas. I risultati elettorali certificano la perdita di consensi e di una certa ramificazione territoriale sia nella Striscia di Gaza che in Cisgiordania.

    A livello internazionale, oltre Israele anche Stati Uniti e Unione Europea includono il Fronte nelle liste delle organizzazioni terroristiche.


    Le polemiche sulle Ong
    Di recente il Fronte Popolare di Liberazione della Palestina è tornato alla ribalta per una decisione, assunta dal governo israeliano, di inserire nella lista delle organizzazioni terroristiche alcune Ong ritenute molto vicine al movimento.

    Si tratta, in particolare, delle Ong Adameer, Al Haq, Bisan, Difesa dei bambini-Palestina (Dci-P) Unione delle donne (Upwc) e Unione degli Agricoltori (Uawc). Dietro queste sigle, secondo Israele si nasconderebbe il Fronte Popolare. Grazie alla donazioni ricevute dalle Ong, il movimento ha potuto continuare a finanziarsi. La scelta del governo israeliano tuttavia non è stata accolta positivamente dalle Nazioni Unite.

    Da qui..

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