Cosa vuol dire giustizia per i figli di Esau'?

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  1. leviticus
     
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    Fino a quando non giungerò dal mio signore a Se'ir

    Genesi 33,14



    Il dialogo tra Giacobbe ed Esaù, i due fratelli/popoli, è emblematico. Esaù chiede una riunificazione che Giacobbe, al momento, non sente di accettare e che vuole rimandare ad altri tempi. Giacobbe, con molta delicatezza e rispetto, afferma che è lui il problema; ha un’andatura più lenta, è “zoppicante” e non può/vuole accelerare il passo per non rischiare di perdere per strada nessun componente della sua famiglia. Tuttavia, Giacobbe promette che giungerà il momento in cui “arriverò dal mio signore a Se‘ir” e potremo ricongiungere le vie che abbiamo separato, ma non adesso. Per capire il senso delle parole di Giacobbe, ci aiuta il profeta Obadyà, il cui unico capitolo biblico costituisce la haftarà di questa settimana “Saliranno i liberatori sul monte di Sion per fare giustizia dei figli di Esaù e al Signore apparterrà il regno” (1,21). L’espressione di Giacobbe “arriverò dal mio Signore a Se‘ir”, non significa presentarsi all’incontro con il fratello (che è principe di Se’ir), ma comparire a giudizio davanti al Signore che – in un futuro a venire – giudicherà tutti i popoli. Quello, che è tempo di gheullà-redenzione, sarà il momento giusto per la riunificazione tra i popoli/fratelli. Nel frattempo, grazie alla Torah e alle mitzvot, possiamo proteggerci dagli “abbracci” e dai “baci” di Esaù, che rappresentano, da sempre, l’ostacolo più grande al “nostro percorso” per arrivare a quel giorno.

    Shabbat Shalom

    Rav Adolfo Aharon Locci

    Rabbino Capo Comunità Ebraica di Padova



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