Perché esiste il Male? Da dove si origina? Le risposte della Qabbalà nel saggio di Moshe Idel

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    Perché esiste il Male? Da dove si origina? Le risposte della Qabbalà nell’ultimo saggio di Moshe Idel
    di Ugo Volli | Bet Magazine - 19 febbraio 2017

    Moshe-Idel


    “Io formo la luce e creo le tenebre, produco la pace e creo il male; io, il Signore, compio tutto questo”. Così si legge in un celebre passo del profeta Yeshayahu (Is. 45:5-7). Questa è la soluzione che il pensiero ebraico dà a uno dei grandi problemi che si pongono a ogni sensibilità religiosa: l’origine del male. Certamente vi è una parte di male al mondo, quella che ci colpisce e ci indigna di più, che viene dagli atti liberi di esseri umani e di cui si può e si deve dare piena responsabilità a chi la compie. Auschwitz è stato il frutto avvelenato di azioni e complicità umane: con queste bisogna fare il conto prima di pensare a coinvolgere la sfera della divinità. Ma poi vi è anche il male irriducibile, l’epidemia, il terremoto, la sofferenza degli innocenti. Impossibile non chiedersene l’origine.

    Nella storia si sono date molte ingegnose risposte a questa domanda, si è pensato a una pluralità di dei che lottano fra loro, alcuni benevolenti, altri malvagi, per lo più indifferenti alla sorte degli umani; oppure solo a una coppia di dei, lontano e debole quello buono, vicino e dominante il malvagio; o ancora alla forza della logica compresenza dei fatti, per cui il nostro è sì il migliore dei mondi possibili, ma deve contenere una quota di male perché le cose sono interrelate fra loro e ognuna ha, per così dire, il suo costo. La soluzione ebraica, che enuncia la Torah, è la conseguenza del monoteismo: “Ora guardate: Io, io lo sono e nessun altro è dio accanto a me. Sono io che do la morte e faccio vivere; io percuoto e io guarisco e nessuno può liberare dalla mia mano.” (Dt. 32,39). E dunque “se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremo accettare (anche) il male?” (Giob. 2:10)

    È quel che si sono ripetuti per secoli i nostri avi nelle durezze e nelle persecuzioni. Ma per menti assetate di comprensione del divino, come i pensatori della Qabbalah, questa risposta non è sufficiente. Che cos’è che provoca, all’interno dell’unità divina e della dialettica con cui essa si articola, l’emergere del male?
    È il tema affrontato dal più grande storico contemporaneo della Qabbalah, Moshé Idel nel suo ultimo libro pubblicato da Adelphi a cura di Elisabetta Zevi: Il male primordiale nella Qabbalah. Totalità, perfezionamento, perfettibilità. Idel non espone una soluzione unitaria del pensiero mistico ebraico, anzi questo studio gli serve per ribadire la sua tesi sulla varietà, la frammentarietà, l’apertura ad influenze esterne di quel vasto movimento che riassumiamo col nome di Qabbalah.

    La narrazione di Idel è tipologica più che storica, molto rigorosamente filologica e scritta in uno stile oggettivo, che si propone di chiarire le articolazioni dei pensieri esaminati, non di insegnarli come verità religiosa. Il lettore è affascinato dalla forza immaginativa dei pensieri cui è esposto, meravigliato dalla ricchezza dei temi e delle relazioni, certamente impressionato da complesse narrazioni che insieme sente lontanissime dalla mentalità contemporanea e di cui però non può non riconoscere la pertinenza profonda alla cultura ebraica. Una straordinaria e non facile avventura intellettuale, come tutti i libri di Idel, che sfida i nostri luoghi comuni e la nostra idea di cosa sia l’identità ebraica.

    Vi sono delle tendenze più o meno accentuatamente dualiste che identificano nella sfera divina una “pseudo-simmetria subordinata” fra bene e male (perché il bene è privilegiato, ma il male spesso nasce prima). Qualcuno identifica l’aspetto “rigoroso” della divinità con la ragione dei mali del mondo e quello “misericordioso” col bene; questa identificazione è spesso riflessa sulle dieci “sefirot”, le forme di espressione del divino teorizzate da molti cabalisti; alcuni immaginano un gruppo segreto di sefirot più nascosto e precedente all’altro come sede del male. Il male si identifica anche con le “bucce” che si formano intorno alla luce divina al contatto con la materia del mondo. Vi sono coloro che traggono dalla Torah l’idea di una divinità storica, dunque perfezionabile anche nella sua interazione con l’uomo, in particolare dalla preghiera e dal rispetto dei precetti. Vi sono narrazioni midrashiche che coinvolgono la storia di Adamo o le coppie di fratelli fra i patriarchi, come metafore della dialettica fra bene e male. Alcune di queste narrazioni hanno carattere mitico e sono chiaramente il frutto di influenze di altre culture, prevalentemente lo zoroastrismo persiano.

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    Preview disponibile su Google Libri: Il male primordiale nella Qabbalah

    Per chi è utente premium di Rapid Gator il libro può essere scaricato gratuitamente
     
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    Questo è un ambito particolare, quello qabalistico e non tutto l'ebraismo lo accetta e condivide.
    Inoltre, anche all'interno della qabalà vi sono interpretazioni diverse.
     
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    Mi pare che qui

    https://forumbiblico.forumfree.it/?t=31908546

    si risponde forse bene a questa domanda citando "I segreti dell'Ebraismo" di Raav Jaacov Ades,

    CITAZIONE
    (pag 49)
    "E' spiegato nello Zoar e nei libri di cabala che oltre questo mondo, il Signore ha creato ancora decine di migliaia di mondi ed innumerevoli superiori forze spirituali. Attraverso le mitzvot e le buone opere degli Ebrei vengono costruiti e riparati questi mondi grazie a questo scende su tutto il popolo ebraico un'enorme influenza di bene, materiale e spirituale. Se invece, D.O ne guardi, si tralascia lo studio della Torah e si compioni trasgressioni, avviene il contrario"

    Altre cose si possono trovare qui sempre in fonte chassidica

    https://www.chabad.org/library/article_cdo...Create-Evil.htm

    Edited by leviticus - 22/2/2019, 15:55
     
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    CITAZIONE (Barbafisso @ 22/9/2018, 23:49) 
    Ma se ci sono tutte queste cose a noi invisibili, perché non ci è concesso realizzare la loro esistenza?

    D-o potrebbe darci qualche indicazione, se non altro ci metteremo il cuore in pace su questioni come il senso della vita.

    Queste cose e questi mondi possono anche essere soltanto stati dell'essere e dell' evoluzione individuale, durante l'illusorio percorso di ricongiungimento con l'infinito mediante il tikkun olam.
     
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    Per riferimenti a quest opera è molte altre

    https://ebreieisraele.forumfree.it/?t=76013967
     
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    Il Male - di Rabbi Tzvi Freeman

    "Il male è oscurità, nient'altro che un'assenza di luce.
    Non ha vita propria.
    È alimentato interamente dalla nostra paura, dal nostro considerarlo un "qualcosa" che richiede la nostra risposta.
    Il male è un terrore, alimentato da ogni nostro frammento di preoccupazione, incoraggiato da ogni sguardo di trepidazione, fortificato con ogni concessione che noi facciamo nelle nostre vite riconoscendo la sua minaccia - finché non ha assorbito abbastanza energia da attaccarci spudoratamente con i nostri stessi strumenti.
    Così è con il male nel mondo, così è con le forze distruttive dentro ognuno di noi: quando ci abbassiamo per conquistare il male dentro di noi, finiamo per rotolare con esso nel suo fango.
    Per bandire veramente il male, devi camminare sulle nuvole e non guardare mai in basso. Devi salire più in alto finché non raggiungi un luogo di luce che non ha luoghi dove nascondere il male.
    Sollevato in quel luogo, il male si scioglie in resa. Per ora ha adempiuto al suo scopo di essere: spremere la luce interiore dell'anima umana, una luce che non conosce limiti.
    Missione compiuta, il male svanisce nella luce che hai chiamato".


    Per chi volesse leggere il testo originale, in inglese, apra lo spoiler qui sotto:
    EVIL
    "Evil is darkness; nothing more than an absence of light.
    It has no life of its own.
    It is powered entirely by our fear of it, by our considering it a “something” that demands our response.
    Evil is a terrorist, nursed on every spoonful of worry, encouraged with every glance of trepidation, fortified with every concession we make from our lives to acknowledge its threat—until it has soaked from us sufficient energy to rise brazenly and attack us with our own instruments.
    So it is with the evil in the world, so it is with the destructive forces within each of us: When we stoop to conquer the evil within ourselves, we end up rolling with it in its mud.
    To truly banish evil, you must march on the clouds and never look down. You must climb higher until you attain a place of light that leaves no crevice for evil to hide.
    Lifted to that place, evil melts in surrender. For now it has fulfilled its purpose of being: to squeeze out the inner light of the human soul, a light that knows no bounds.
    Mission accomplished, evil vanishes in the light it has called forth."
     
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    Per quanto riguarda i kelipot è sitra achra si possono trovare spiegati bene in questa fonte chassidica

    www.chabad.org/library/article_cdo...Sitra-Achra.htm

    Se poi uno volesse provare ad approfondire ulteriormente potrebbe vedere qui ma diventa veramente difficile districarsi almeno per me

    www.chabad.org/kabbalah/article_cd...Kelipot-271.htm

    Edited by leviticus - 22/2/2019, 16:13
     
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    Il Problema del Male nella Cabala secondo Gershom Scholem
    Pp 128 - 132 del saggio: "La Cabala", di G. scholem, Edizioni Mediterranee, 1982.

    cabala


    La questione dell’origine e della natura del male fu una delle principali forze motrici della speculazione cabalistica. Nell’importanza ad essa attribuita sta una delle differenze fondamentali tra la dottrina cabalistica e la filosofia giudaica, che non diede un notevole contributo di pensiero originale al problema del male. Le soluzioni proposte dai cabalisti erano diverse. Il Ma'arekhet ha-Elohut rivela l'influenza della posizione neoplatonica convenzionale, per la quale il male non ha realtà oggettiva ed è soltanto relativo. L'uomo è incapace di ricevere tutto l'influsso delle Sephiroth, ed è questa inadeguatezza che sta all'origine del male, il quale ha perciò una realtà esclusivamente negativa. Il fattore determinante è lo straniamento delle cose create dalla loro fonte d'emanazione, una separazione che porta a manifestazioni di ciò che a noi appare come la forza del male. Ma quest'ultimo non ha una realtà metafisica, ed è dubbio che l'autore del Ma'arekhet ha-Elohut e i suoi discepoli credessero all'esistenza di un regno separato del male al di fuori della struttura delle Sephiroth. D'altra parte, troviamo già nel Sepher ha-Bahir una definizione della Sephirah Guebourâ come "la mano sinistra del Santissimo, che sia benedetto", e come "una qualità il cui nome è male", che ha molte ramificazioni nelle forze del giudizio, i poteri coercitivi e limitanti nell'universo. Già al tempo di Isaac il Cieco questo portò alla conclusione che doveva esservi necessariamente una radice positiva del male e della morte, che era controbilanciata nell'unità della Divinità dalla radice del bene e della vita. Durante il processo di differenziazione di queste forze al di sotto delle Sephiroth, tuttavia, il male diveniva sostanziato come una manifestazione separata. Si sviluppò quindi la teoria che vedeva la fonte del male nella crescita sovrabbondante del potere del giudizio, resa possibile dal sostanziamento e dalla separazione della qualità del giudizio dalla sua abituale unione con la qualità dell'amore e della bontà. Il puro giudizio, non temperato da influssi mitiganti, produceva da se stesso il sitra ahra (l'altra parte), come un recipiente che viene riempito fino a traboccare riversa al suolo il liquido superfluo. Questo sitra ahra, il regno delle emanazioni tenebrose e dei poteri demonici, quindi non è più una parte organica del Mondo della Santità e delle Sephiroth. Sebbene sia emersa da uno degli attributi di Dio, non può essere una parte essenziale di Lui. Questa concezione divenne dominante nella Cabala tramite gli scritti dei cabalisti di Gerona e lo Zohar.

    Secondo gli "gnostici" della Castiglia e, in una versione diversa, anche nello Zohar, esiste una gerarchia completa dell' "emanazione della sinistra" che è il potere dell'impurità attivo nella creazione. Tuttavia, questa realtà oggettiva perdura solo in quanto continua a ricevere nuova forza dalla Sephirah Guebourâ, che è nel santo ordine delle Sephiroth, e in particolare solo finché l'uomo la ravviva e la fortifica con le sue azioni peccaminose. Secondo lo Zohar, questo sitra ahra ha dieci Sephiroth (corone); e una concezione simile, benché con parecchie variazioni e l'aggiunta di certi elementi mitici, è espressa negli scritti di Isaac ha-Kohen e in Ammud ha-Semali dal suo allievo Moses di Burgos. Isaac ha-Kohen insegnava che i primi mondi, che furono distrutti, erano tre emanazioni tenebrose, e perirono a causa del male.

    Anche nello Zohar viene implicato che il male nell'universo ebbe origine dai resti dei mondi che furono distrutti. La forza del male è paragonata alla corteccia (Qliphat) dell'albero dell'emanazione, un simbolo che ebbe origine con Azriel in Gerona e che divenne molto comune dallo Zohar in poi. Alcuni cabalisti chiamano la totalità dell'emanazione della sinistra l'albero esterno" (ha-ilan ha-hizon). Un'altra associazione, che si trova nei cabalisti di Gerona e che li segue anche nello Zohar, è quella con "il mistero dell'Albero della Conoscenza". L'Albero della Vita e l'Albero della Conoscenza erano collegati in perfetta armonia fino a quando Adamo venne a separarli, dando così sostanza al male, il quale era contenuto nell'Albero della Conoscenza del Bene e del Male e ora si materializzò nell'istinto del male (yezer ha-ra). Quindi fu Adamo che attivò il male potenziale celato nell'Albero della Conoscenza, separando i due alberi e separando inoltre l'Albero della Conoscenza dal suo frutto, ora distaccato dalla sua fonte. Questo evento è chiamato metaforicamente "il taglio dei germogli" (kizzuz ha-neti'ot) ed è l'archetipo di tutti i grandi peccati menzionati nella Bibbia, il cui comune denominatore era l'introduzione della divisione nell'unità divina. L'essenza del peccato di Adamo fu che introdusse "la separazione sopra e sotto", in ciò che doveva essere unito, una separazione della quale ogni peccato è fondamentalmente una ripetizione, a parte i peccati che riguardano la magia e la stregoneria, che secondo i cabalisti uniscono ciò che dovrebbe restare separato. In effetti, questa concezione tende anch'essa a sottolineare il potere del giudizio contenuto nell'Albero della Conoscenza del potere dell'amore e della pietà contenuto nell'Albero della Vita. Quest'ultimo riversa il suo influsso abbondantemente, mentre il primo è una forza restrittiva, con la tendenza a diventare autonoma; e può farlo sia in conseguenza delle azioni dell'uomo, sia per un processo metafisico nei mondi superiori.

    Entrambe le concezioni appaiono nella letteratura cabalistica, senza che tra esse venga operata una chiara distinzione. Il male cosmico derivante dalla dialettica interna del processo d'emanazione qui non è differenziato dal male morale prodotto dalle azioni umane. Lo Zohar tenta di unire questi due regni, postulando che la disposizione alla corruzione morale, al male sotto forma di tentazione umana, deriva dal male cosmico che è il regno del sitra ahra (III:163a). La differenza fondamentale tra lo Zohar e gli scritti degli gnostici della Castiglia stava nel fatto che questi ultimi indulgevano in personificazioni esagerate delle forze di questo regno, facendo talvolta ricorso a precedenti credenze demonologiche, e chiamando le potenze dell'emanazione della sinistra con nomi propri, mentre l'autore dello Zohar si atteneva generalmente a categorie più impersonali, con l'eccezione delle figure di Samaël - l'equivalente cabalistico di Satana - e della sua compagna Lilith, alle quali assegnava un ruolo centrale nel regno del male. Un'altra deviazione da questa regola è la descrizione dettagliata dei "palazzi dell'impurità" e dei loro custodi nel suo commento a Esodo 38-40, che segue una descrizione parallela dei "palazzi della santità".

    Nel simbolismo dello Zohar concernente il sitra ahra, vi sono numerosi temi talora in conflitto. Le Qliphoth ("gusci" o "bucce" di male) sono talvolta intese in maniera neoplatonica come gli ultimi anelli della catena dell'emanazione dove tutto si trasforma in tenebra, come "la fine dei giorni" nella metafora dello Zohar. Altre volte, esse vengono definite semplicemente come intermediarie tra i mondi superiori e inferiori, e come tali non vengono necessariamente viste come malefiche. Anzi, ogni principio mediante è un "guscio" dalla prospettiva di ciò che sta al di sopra, ma è un "nocciolo" dal punto di vista di ciò che sta al di sotto (Zohar I:19b). In altre decisioni, il regno del male è delineato come il naturale prodotto di rifiuto di un processo organico, ed è paragonato al "sangue cattivo", a un ramo amaro dell'albero dell'emanazione, ad acque contaminate (II:167b), alla scoria che rimane dopo che è stato raffinato l'oro (hittukhei ha-zahau), o alla feccia del vino buono. Queste descrizioni del sitra ahra nello Zohar sono particolarmente ricche di immagini mitiche. L'identificazione del male con la materia fisica, sebbene ricorra talvolta nello Zohar e in altri libri cabalistici, non divenne mai una dottrina accettata. L'equivoco della filosofia medievale tra la concezione aristotelica e quella platonico-emanatista della materia è sentito altrettanto fortemente nella Cabala, sebbene solo di rado vi siano riferimenti al problema del modo in cui è emanata la materia. In generale, la questione della natura della materia non è centrale nella Cabala, dove l'interesse fondamentale era piuttosto la questione del modo in cui il Divino era riflesso nella materia. Discussioni occasionali della natura della materia da un punto di vista neoplatonico si possono già trovare nella letteratura del circolo del Sepher ha-lyyun. Cordovero, nel suo Rabbati Elimah, spiega l'emanazione della materia dallo spirito per mezzo di un trattamento dialettico del concetto di forma che era comune nella filosofia medievale.

    Secondo lo Zohar vi è una scintilla di santità persino nel regno dell'altra parte, sia proveniente da un'emanazione dell'ultima Sephirah, sia come risultato indiretto del peccato dell'uomo, perché come l'adempimento di un comandamento rafforza la parte della santità, un atto peccaminoso rivitalizza il sitra ahra. I regni del bene e del male sono in una certa misura commisti, e la missione dell'uomo è di separarli. In contrasto con questa concezione che riconosce l'esistenza metafisica del male, un punto di vista alternativo ha trovato la sua espressione fondamentale in Gikatilla, il quale definì il male come un'entità che non era nel suo posto legittimo: "ogni atto di Dio, quando è nel posto ad esso accordato alla creazione, è bene; ma quando si volge e lascia il suo posto, è male". Queste due concezioni - quella dello Zohar, che riconosce al male un'esistenza attuale come fuoco dell'ira e della giustizia di Dio, e quella di Gikatilla, che gli attribuisce solo un'esistenza potenziale che nulla può attuare, se non le azioni degli uomini - ricorrono in tutta la letteratura cabalistica senza che l'una riporti la vittoria sull'altra. Anche nelle diverse versioni della dottrina lurianica, le due concezioni sono perpetuamente in conflitto. (Sul problema del male nella Cabala lurianica si veda più sotto.) Uno sviluppo successivo e finale riguardo il problema del male si ebbe nella dottrina degli shabbatei, formulata particolarmente negli scritti di Nathan di Gaza. Secondo lui, vi erano fin dall'inizio due luci in Ayn Soph, "la luce che conteneva il pensiero" e "la luce che non conteneva il pensiero". La prima aveva in sé, fin dal principio, il pensiero di creare i mondi, mentre nella seconda tale pensiero non c'era, e tutta la sua essenza tendeva a rimanere occulta e a restare in se stessa senza emergere dal mistero di Ayn Soph. La prima luce era interamente attiva e la seconda interamente passiva e immersa nel profondo di se stessa. Quando il pensiero della creazione sorse nella prima luce, questa si contrasse per far spazio alla creazione, ma la luce senza pensiero, che non aveva parte nella creazione, rimase al suo posto. Poiché non aveva altra finalità che rimanere in se stessa, resistette passivamente alla struttura dell'emanazione che la luce contenente il pensiero aveva costruito nel vuoto creato dalla propria contrazione. La resistenza trasformò la luce senza pensiero nella suprema fonte del male nell'opera della creazione. L'idea di un dualismo tra materia e forma quale radice del bene e del male assume qui un aspetto originalissimo: la radice del male è un principio esistente nello stesso Ayn Soph, che si tiene distaccato dalla creazione e cerca di impedire che vengano attuate le forme della luce contenente il pensiero, non perché sia malefico per natura, ma solo perché il suo unico desiderio è che nulla debba esistere al di fuori di Ayn Soph. Rifiuta di ricevere in sé la luce che contiene il pensiero, e di conseguenza si sforza di frustrare e di distruggere tutto ciò che è costruito da quella luce. Quindi il male è il risultato di una dialettica tra due aspetti della luce dello stesso Ayn Soph. La sua attività nasce dalla sua opposizione al cambiamento. L'affinità di questa idea con la concezione neoplatonica della materia quale principio del male appare evidente. La lotta tra le due luci si rinnova ad ogni fase della creazione, e non avrà termine fino al tempo della redenzione finale, quando la luce che contiene il pensiero penetrerà completamente la luce senza pensiero e vi delineerà le sue forme sante. Il sitra ahra dello Zohar non è altro che la totalità della struttura che la luce senza pensiero è costretta a produrre quale risultato di questa lotta. Via via che il processo della creazione prosegue, la lotta diviene più acuta, perché la luce del pensiero, per sua stessa natura, vuole penetrare tutto lo spazio lasciato vuoto dalla sua contrazione e non lasciare nulla d'intoccato in quel regno primordiale e senza forma che Nathan chiama golem (hyle senza forma). La premessa che i principi del bene e del male esistono insieme nella mente suprema di Dio e che non vi è altra possibile soluzione logica al problema del male in un sistema monoteistico, fu condivisa da Leibnitz, il quale affrontò il problema in modo simile, circa quaranta anni dopo, nella sua Théodicée.

    Benché non vi sia il dubbio che in maggioranza i cabalisti ritenessero che il male avesse un'esistenza reale a vari livelli, anche se operava attraverso la negazione, essi erano divisi nelle diverse visioni del problema escatologico di come avrebbe avuto fine nel mondo e nell'uomo. I1 potere del male verrebbe totalmente distrutto nel tempo a venire? O forse sopravviverebbe, ma rimarrebbe privo di ogni possibilità d'influenzare il mondo redento, quando il bene e il male, che si erano mescolati, fossero finalmente separati di nuovo? O forse il male verrebbe ritrasformato in bene? La concezione che nel mondo futuro, quando ciò avverrà, tutte le cose ritorneranno al santo stato originale, ebbe sostenitori eminenti dai tempi dei cabalisti di Gerona in poi. Nachmanide parlava del "ritorno di tutte le cose alla loro vera essenza", un concetto forse tratto dall'escatologia cristiana e dalla dottrina dell'apokatasis (reintegrazione); ed egli intendeva con questo la riascesa di ogni essere creato alla sua fonte nell'emanazione, il che non avrebbe più lasciato spazio per la continuazione dell'esistenza del regno del male nella creazione o del potere dell'istinto malefico nell'uomo. Sembrerebbe, in effetti, che tale ritorno fosse connesso nella sua concezione al grande giubileo, secondo la dottrina delle shemittot. Questa posizione accettava la realtà del male nelle diverse shemittot, in ogni shemittah secondo la sua natura specifica.

    In generale, le argomentazioni cabalistiche circa il fato finale del male si limitavano al tempo della redenzione e al giorno del giudizio. L'opinione prevalente era che il potere del male sarebbe stato distrutto e sarebbe scomparso, poiché non vi sarebbe più stata alcuna giustificazione per la continuazione della sua esistenza. Tuttavia, altri sostenevano che il regno del male sarebbe sopravvissuto quale luogo di punizione eterna per i malvagi. Una qualche incertezza tra queste due convinzioni si trova tanto nello Zohar quanto nella Cabala lurianica. Nel complesso, lo Zohar sottolinea che il potere delle Qliphoth verrà "spezzato" nel tempo a venire, e in vari passi afferma chiaramente che il sitra ahra "sparirà dal mondo" e la luce della santità "risplenderà senza ostacoli". Gikatilla afferma, d'altra parte, che nel tempo a venire "Dio prenderà l'attributo di [punire] la sfortuna [cioè il potere del male] in un luogo dove non potrà essere maligna" (Sha'arei Orah, cap. 4). Quanti sostenevano la dottrina che il male sarebbe ridivenuto bene affermavano che lo stesso Samaël si sarebbe pentito e si sarebbe trasformato in un angelo di santità, il che avrebbe causato automaticamente la scomparsa del regno del sitra ahra. Questa concezione è espressa nel libro Kaf ha-Ketoret (1500) e particolarmente nell'Asarah Ma'amarot di Menahem Azariah Fano; ma è contrastata negli scritti di Vital, il quale assunse una posizione meno liberale. Una potente affermazione simbolica del futuro ritorno di Samaël alla santità, particolarmente diffusa a partire dal secolo XVII, fu la concezione che il suo nome sarebbe mutato, e la lettera Mem significante morte (mavet) sarebbe caduta per lasciare Sa'el, uno dei 72 Nomi sacri di Dio.
     
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    E Iddio creò il Male

    REDAZIONE 26/01/2017

    Giulio Busi

    Ombre spesse come un sudario, demoni che latrano più rabbiosi di cani, lunghi fasci di luce rappresa, spenta, cinerea. Nei testi mistici ebraici del medioevo e della prima età moderna troverete molto splendore, parecchio bene, schiere di angeli pronti ad assistervi e a sostenervi. Ma se cercate l’antico accusatore in tutto il suo nero sfarzo, o volete sapere cosa fare, quando il cosmo balla come un ubriaco, senza pudore, ai bordi dell’abisso, siete nel posto giusto. Che il male abbia spesso la meglio, ce ne accorgiamo, purtroppo, tutti. A volerlo ammettere, e a dirci perché e percome, sono in pochi. Tocca allora ai mistici alzarsi faticosamente verso il cielo dell’invisibile, non per trovarvi conforto ma per esplorare inspiegabili errori divini. Avrete visto talvolta l’albero delle sefirot, con i suoi dieci cerchi, che lasciano prorompere l’energia della creazione. Dietro quei dieci, tutto fulgore e benedizione, vi sono altri dieci tondi, altrettanto potenti, che affogano e distruggono. O forse, a far danni sono le energie positive, se solo tracimano per eccesso, schiantano sovrabbondanti i loro limiti, accecano per troppo slancio. È dai tempi di Giovanni Pico della Mirandola, primo scopritore cristiano della qabbalah, che il pensiero europeo s’è accorto di come le vecchie pergamene ebraiche custodiscano un atlante teologico ampio, ardito, talvolta sinistro. Quando Pico, nel 1486, pubblicò le proprie 900 Conclusioni, prontamente date alle fiamme dall’Inquisizione di papa Innocenzo VIII, usò la qabbalah come un grimaldello, per far saltare il cofanetto teologico del buio.
    Al deposito dell’ottimismo e dell’amore divino ci si arrivava facilmente. Bastava farsi guidare da Platone e dai suoi compagni, di grado in grado, sempre più lontani dalla materia. Ma come aprire la cornucopia di tutti i mali del mondo? Come sapere chi li muove, quei malanni, e da quando? «Mala coordinatio denaria in Cabala», la malvagia decina cabbalistica, chiama Pico il flusso negativo secondo l’insegnamento giudaico, e vi allude soltanto di sfuggita, «quia est secretum».
    Moshe Idel, professore emerito all’Università Ebraica di Gerusalemme, ha ora dedicato un volume al secretum dei segreti, ovvero al «Male primordiale nella qabbalah». Il libro può vantare un numero davvero ampio di citazioni di prima mano, da una messe di testi mistici quasi sempre rari o inediti. Idel si muove nell’intrico cabbalistico medievale con ammirevole sicurezza, una familiarità che gli viene da una ricerca ormai quarantennale. In effetti, il nucleo di quest’indagine risale a un articolo del 1980, The Evil Thought of the Deity, avvio di un dossier sulla negatività che è andato crescendo, si direbbe, quasi a dismisura. Idel prende lo spunto dagli antecedenti biblici e rabbinici della qabbalah, dalle pietre d’inciampo dell’ottimismo religioso che affiorano qua e là nella tradizione ebraica. «Io formo la luce, creo le tenebre, opero il bene, creo il male», fa dire a Dio il Deutero-Isaia (Is. 45.7). Perché quella sibillina distinzione lessicale? Perché il bene viene “operato”, mentre al male è riservata la parola più bella, più alta, divina, appunto: “creare”? Non insegna forse la filosofia greca che il male è assenza di essere, privazione? Ma ciò che Dio crea non può definirsi per difetto. Dev’essere pieno, paurosamente pieno. Idel s’appoggia alla definizione, ben trovata, di pseudo-simmetria. Anziché ricorrere al concetto, ormai logoro, di dualismo, preferisce parlare di un pensiero religioso giudaico che si sviluppa lungo l’asse di una apparente simmetria tra bene e male. Simmetria imperfetta, perché spesso enunciata nella convinzione, o forse nella speranza, di un sostanziale prevalere del positivo sul negativo. Il bene trionfa? Forse, alla fine, nel tempo futuro. Vero è, ed è questa l’idea al centro del volume, che molto materiale, e in specie nei testi cabbalistici, punta a una priorità cronologica del male sul bene. Il male viene prima, è il fatto, o l’antefatto che apre le danze dell’essere. Pur nella continuità tra spunti scritturali e più tarda riflessione mistica, Idel vede una differenza fondamentale tra le formulazioni bibliche, come quella, spaesante, del Deutero-Isaia, e il patrimonio posteriore.
    Nella Scrittura, e nella tradizione pre-cabbalistica, il male sarebbe confinato all’atto creativo, per così dire esterno rispetto a Dio, mentre alla mente dei cabbalisti si affaccerebbe l’idea che esso sia parte della divinità stessa. È un problema importante, che coinvolge il significato profondo dell’utopia cabbalistica. Di che cosa parlano, i maestri del misticismo, quando descrivono equilibri e distrofie del mondo sefirotico? Del divino in sé, della natura stessa di Dio, come crede Idel? O non piuttosto della filigrana della creazione, di quell’armatura di energie e dei campi d’attrazione e repulsione che accendono, infiammano, talvolta bruciano il creato. Non siamo forse in quello che Filone chiamò, primo nel mondo greco, “cosmo noetico”, ovvero il cosmo ideale, modello eterno della creazione? Per Filone di Alessandria, questo era il Logos, con le potenze che lo percorrevano e lo agitavano. Anche secondo i visionari medievali, le sefirot corrono senza posa, costruiscono e distruggono, manifestano e occultano, e se sono ombre, il loro teatro è quello del divenire, solo più terribile e scarno. Il Dio in sé, che Filone nomina “Re”, prima e oltre il creato, è nella qabbalah l’En sof, l’infinito senza qualità. Lì non c’è male né bene, non c’è alcunché, non si dà domanda né si può ottenere risposta. Filone è il grande escluso della storiografia contemporanea sul misticismo ebraico. È vero che il filosofo alessandrino ha il torto d’aver scritto in greco e d’aver cercato una mediazione con la cultura ellenistica. Ed è anche indiscutibile che la tradizione rabbinica abbia rifiutato il gran edificio filoniano, come pericolosa trappola assimilazionista. Filone non è un esegeta del negativo, al contrario. Ma il suo modo di porre la questione teologica, l’ansia di scoprire lo schema archetipico della realtà, si trasmette, per vie che non conosciamo, sin nel cuore del medioevo cabbalistico. Con la differenza che loro, i maestri dell’età di mezzo, avevano occhi abituati all’oscurità, e li aguzzavano per vedere anche la luce nera.
    Moshe Idel, Il male primordiale nella qabbalah. Totalità, perfezionamento, perfettibilità, traduzione di F. Lelli, a cura di E. Zevi, Adelphi, Milano, pagg. 412, € 32

    http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/201...l?uuid=ADrTmIUC
     
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