Sentirsi inadeguati: Levitico 9,7

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    Oltre il senso di inadeguatezza
    Ester Pavoncello
    | 11-04-2024


    La sindrome dell’impostore, come descritto dalle psicologhe americane Pauline Clance e Suzanne Imes nel 1978, è una condizione psicologica che induce a credere di non meritare i successi ottenuti. Chi ne soffre è convinto di aver raggiunto determinati traguardi, per pura casualità o per errore. È una percezione di inadeguatezza che viene sperimentata in ambito professionale e in ogni altro ruolo ci si trovi a ricoprire nella vita. Tale sindrome colpisce attualmente, il quaranta per cento delle persone di successo.

    Rav Jonathan Sacks z.l. ci fornisce una chiave di lettura interessante.
    Moshe disse ad Aron: “Avvicinati all’altare, senza timore, e offri il tuo sacrificio khattat e tuo olà e chiedi espiazione per te e per il popolo” (Vaikrà capitolo 9 verso 7) Aron si teneva a distanza. Egli esitava ad avvicinarsi, perché si vergognava, ci spiega Rashi.

    Non si sentiva adeguato a svolgere il ruolo per cui era stato designato. Aveva vissuto il trauma del vitello d’oro, in cui aveva avuto la sua responsabilità. La sua intenzione era positiva, come illustrano i Maestri, voleva guadagnare tempo finché il fratello scendesse dal Monte. L’assenza di una guida aveva creato disordine. Aveva timore di fare la fine di Chur, ucciso per aver cercato di impedire l’atto idolatra. Portava con sè il senso di colpa, il fardello di un peccato commesso. Non poteva svolgere il ruolo di colui che espia le proprie colpe, e del popolo.

    Ma proprio per questo Aron fu scelto. Hashem aveva voluto lui! Che conosceva da vicino la sensazione di sofferenza, di delusione, di sconfitta di chi commette un’azione iniqua e se ne vergogna, e porta con sè lo strascico che logora l’anima. Ma ha riconosciuto di aver commesso un errore e non si è lasciato prendere dalla disperazione. La lezione: uno sbaglio è una caduta. Una battuta d’arresto. Non bisogna considerarlo il termine ultimo; ma un nuovo inizio, da cui ripartire. La Teshuva’, il ritorno a sé stessi, il proprio vero sè, è la cosa migliore per ognuno. Hashem non chiude la porta a nessuno; persino se si trattasse del peggior individuo sulla faccia della terra. Aron diventa quindi un esempio, perché ha provato in prima persona una brutta esperienza e ne è uscito, più consapevole. Colui che farà espiare sé stesso, la sua famiglia, tutto il popolo.

    Anche Moshe si sentiva inadeguato per intercedere con il faraone. Che fosse per la sua balbuzie, o per la sua inabilità di oratore, inizialmente fu restio. Hashem scelse proprio lui. Era il mezzo con cui, il segreto della Voce si sarebbe rivelato. È il Nostro Maestro che ricordiamo per la sua grande umiltà. Le capacità diplomatiche hanno visto i leader come persone gonfie di ego, strumentalizzare le loro abilità oratorie: superbi manipolatori di masse hanno affascinato, sedotto e coinvolto con le loro cattive intenzioni.

    Umiltà non significa bassa autostima. Piuttosto pensare che si viene proposti per un compito di elevata importanza, per il quale non si è degni. Con introspezione: si riflette sulla possibilità di avere i mezzi e le potenzialità per eseguire l’incarico. È un’analisi intelligente, sulla conoscenza di sé, dei propri limiti, delle proprie risorse. Vede la possibilità di uscire dalla propria confort zone, per andare oltre, riuscirci e addirittura diventare di esempio. Aron e Moshe sono la prova, hanno riconosciuto di avere dei difetti, che hanno trasformato in punti di forza! Grazie all’aiuto di Kadosh Baruchu, che li ha messi in quella situazione, in quella posizione, in quel momento. Questo può riguardare tutti gli ebrei. Chi sono io? Ha scelto me. Egli conosce i miei punti di forza, le mie fragilità. Mi ha sottoposto a questa prova, mi ha messo in questa circostanza. È possibile che mi senta inadeguata, probabile che posso cadere. Certo che mi posso rialzare. Lo tzaddik cade sette volte. Le cadute possono abbatterci momentaneamente. La risposta non deve essere il senso di colpa controproducente che blocca. Ma rimettersi in carreggiata e ripartire per raggiungere traguardi più elevati. Ognuno ha un destino, nasce in un luogo, in un momento storico, ed ha un messaggio personale da portare al mondo. Il mio augurio è che ciascuno possa trasformare le cadute, in trampolini di lancio ed avere un buon מזל. In cui possa trovarsi nel מקום, luogo giusto, זְמַן, nel tempo giusto e לָשׁוֹן lingua, cioè con le parole giuste che possano essere fonte di crescita personale, di ausilio, di ispirazione ed esempio per il prossimo.

    da moked.it
     
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