Le città rifugio

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    Le Città Rifugio

    La parashà di Massè (Bamidbàr 33) narra come Moshé ricevette l’ordine di fondare alcune città, che fossero un rifugio per gli ebrei entrati nella Terra Promessa. La legge ebraica consentiva a chi avesse commesso un omicidio non premeditato, o anche premeditato, di rifugiarsi in una di queste città per sottrarsi alla vendetta dei parenti dell’ucciso. Nessuno avrebbe potuto fare alcun male all’omicida che si trovava all’interno in una di queste città. Egli sarebbe stato al sicuro fin tanto che il suo caso non fosse stato esaminato dal tribunale.

    Affinché il fuggitivo potesse porsi in salvo senza difficoltà, le vie di comunicazione con le “Città Rifugio” erano ampie e ben pavimentate. Ai crocevia esano posti cartelli indicatori ben in evidenza su cui era scritto: RIFUGIO! RIFUGIO! E che indicavano la direzione (cf Talmud Makkòt 9b; Talmud Baba Batra 100b; Maimonide, leggi relative all’assassinio, 8, 5; Talmud Makkòt 10b; Bemidbàr Rabbà 23, 13; Tanchuma Mas’é 11).

    La Torà è eterna. Le sue leggi e tutto quanto viene in essa narrato sono sempre di attualità e tramandano un chiaro messaggio ad ogni generazione. Anche se le leggi riguardanti le “Città Rifugio” non possono essere applicate nei nostri giorni, il loro messaggio è vivo e attuale.

    Molti sono gli ebrei che si trovano oggi a un bivio, dove si aprono dinanzi a loro sentieri allettanti che portano in direzioni opposte. Da una parte il sentiero dell’osservanza della Torà e dei suoi precetti, al termine del quale essi troveranno una vita felice e piena, tanto sul piano spirituale che su quello materiale. Il sentiero opposto, ove la Torà e le mitzvòt non sono presenti, li condurrà invece all’assimilazione e, infine alla frustrazione, al malcontento e all’infelicità.

    È necessario recarsi a tali crocevia, avvicinare gli ebrei che stanno lì, perplessi, senza sapere quale direzione prendere e gridare loro: «Rifugio! Rifugio! Andate a destra, seguite il sentiero che conduce alle “Città Rifugio”. Troverete là un posto sicuro, dove sarete protetti da chi vuole “fare vendetta”: da ciò che induce in tentazione, dagli impulsi malvagi, che impoveriranno il vostro spirito e vi faranno cadere sempre più in basso. Non prendete, che D-o ci guardi, il sentiero a sinistra che conduce alla degradazione dello spirito».

    Tuttavia alcuni di noi non vogliono fare da guida ai correligionari meno illuminati, poiché temono di “scendere” al loro livello. Inoltre c’è sempre il pericolo di subire la loro influenza. Non vogliamo diventare dei cartelli indicatori, poiché ciò significherebbe lasciare la sicurezza delle nostre case e rimanere sempre all’erta ai crocevia. Eppure ognuno di noi ha l’obbligo di essere un cartello indicatore perché solo così potrà raggiungere il fine per cui è stato creato, secondo quanto detto dal Ba’al Shem Tov: «Un’anima può essere fatta scendere in questo mondo, per viverci 70 o 80 anni, con l’unico compito di aiutare materialmente, e soprattutto spiritualmente, anche un solo correligionario».

    Come ogni ebreo ha l’obbligo di aiutare il suo compagno nelle cose materiali – e anche il più misero può trovare il modo di aiutare il suo vicino – così è pure dovere di noi tutti aiutare e guidare nelle cose spirituali i nostri correligionari meno illuminati. Dovremmo essere sempre pronti ai crocevia per guidarli verso i sentieri che conducono alla Sinagoga, a una casa kashèr, all’impartire ai propri figli un’educazione pienamente conforme alla Torà.

    Da : chabad.org

    Edited by wamaa - 5/1/2023, 12:51
     
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    città…
    Pubblicato in Opinioni a confronto il ‍‍07/08/2012 - 19 מנחם אב 5772
    Nel capitolo 4 di Devarìm che abbiamo letto shabbat scorso viene ripetuta la disposizione di costruire delle città rifugio per dare asilo a colui che ha commesso un omicidio involontario. Dopo aver elencato le tre città rifugio, stanziate al di lò del Giordano nel territorio delle tre tribù che si sono insediate fuori dalla Terra di Israele, la Torah cita un famoso verso che invochiamo con le mani alzate quando viene mostrato al pubblico il Sefer Torah: “…e questa è la Torah che Moshè ha posto davanti ai figli di Israele…” (Devarìm, 4; 44). Perché questo verso è collocato in questo contesto delle città rifugio? Quale è il senso di questa singolare contiguità? Disporre la Torah dinnanzi ai nostri occhi dovrebbere aiutarci a prevenire quella negligenza che potrebbe portare a commettere un omicidio involontario e vederci costretti in esilio. Ma ciò nonostante la Torah non dovrebbe mai trasformarsi in una “citta rifugio”. Il Talmùd (Makkòt 10 a) ci ricorda che la Torah costituisce un rifugio solo per chi se ne occupa con continuità ma non per chi ci si dedica nelle pieghe del tempo.

    Roberto Della Rocca, rabbino

    da moked.it
     
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    MATOT-MASEI: LE 6 CITTÀ DI RIFUGIO

    Nella parashat Matot-Masei leggiamo delle sei città di rifugio:

    "Tra le città che darai ai Leviti, ci saranno sei città di rifugio, che fornirai come luoghi in cui possa rifugiarsi un assassino. Oltre a loro, fornirai quarantadue città". (Numeri 35:6)

    La Torah prosegue dicendo: "Fornirai le tre città a est del fiume Giordano e le tre città nella terra di Canaan; saranno città di rifugio". (ibid. 35:14)

    La Torah prevede una disposizione speciale per le persone colpevoli di omicidio colposo, che hanno ucciso qualcuno involontariamente. Queste sei città devono fornire rifugio, proteggendo l'omicida da un vendicatore di sangue, purché non lasci i confini della città.

    Infine, la Torah aggiunge: "Poiché rimarrà nella sua città di rifugio fino alla morte del Kohen Gadol, e solo dopo che il Kohen Gadol sarà morto, l'assassino potrà tornare nella terra che è di sua proprietà".

    Perché, hanno chiesto i nostri saggi, l'assassino deve aspettare la morte del Kohen Gadol (sommo sacerdote) prima di essere libero di lasciare la città di rifugio senza paura dei vendicatori del sangue?

    Rashi riassume due risposte:

    1 Il Kohen Gadol fa sì che la Presenza Divina riposi su Israele e quindi prolunghi la loro vita, mentre l'assassino fa sì che la Presenza Divina si ritiri da Israele e quindi accorci le loro vite. Pertanto è improprio che l'assassino sia libero mentre il Kohen Gadol è ancora vivo.

    2 Il Kohen Gadol è responsabile della pace e del benessere della nazione. Pertanto, porta una responsabilità condivisa per la rimozione di una vita, anche se involontaria, creando un legame tra sé e la persona nella città di rifugio.

    Le sei città di rifugio sono nominate in Giosuè 20: 7-8: "E si separarono Kedesh in Galilea, sul monte Neftali, e Sichem sul monte Efraim, e Kiryat Arba, che è Hevron, nella montagna di Giuda. E sull'altra lungo il Giordano a Gerico verso oriente, avevano assegnato Betzer nel deserto nella pianura dalla tribù di Reuven, e Ramoth a Galaad dalla tribù di Gad..."
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    MAS’È TORÀ
    Mas’è. L’influenza dell’ambiente sull’uomo
    DONATO GROSSER 12/07/2023

    Questo è il titolo di una derashà di rav Yosef Shalom Elyashiv su questa parashà. Nella parashà è raccontato che Moshè ricevette la mitzvà di designare sei città come luoghi di rifugio per coloro che avevano commesso un omicidio non intenzionale (shoghèg). Queste città erano destinate ad essere abitate dai Leviti, la cui tribù non aveva ricevuto nessun territorio in Eretz Israel.

    Colui che commetteva un omicidio doloso era passibile della pena di morte. Questo però solo a condizione che fosse stato avvertito da due testimoni che il delitto che stava per compiere lo rendeva passibile della pena di morte e costui ignorasse l’avvertimento. In pratica la pena di morte per omicidio era quasi impossibile.

    Era però più frequente che venissero puniti coloro che avevano causato la morte di persone senza intenzione di farlo. Un esempio dato nella mishnà (Makkòt, 2:1) è quello di una persona che cala una botte e, per mancanza di attenzione, la botte cade e causa la morte di una persona. L’omicida, per proteggersi dai parenti della vittima, poteva trovare rifugio in una delle sei città dei leviti. Si trattava di un domicilio coatto che si poteva lasciare per tornare a casa solo con la morte del Kohen Gadol. La fine del domicilio coatto avveniva non solo per la morte del Kohen Gadol in carica, ma anche di altri kohanim che avevano sostituito il Kohen Gadol pro-tempore quando il Kohen Gadol non era stato in grado di fare il servizio (Mishnà Makkòt, 2:6).

    R. ‘Ovadià Sforno (Cesena, 1475-1550, Bologna) commenta che dal momento che vi erano diversi livelli di delitti commessi senza intenzione, il periodo di domicilio coatto variava da persona a persona. Questo è il giudizio del Creatore che faceva sì che ognuno di questi rifugiati ricevesse la pena che si meritava.

    Il Maimonide (Cordova, 1138-1204, Il Cairo) nel Mishnè Torà (Hilkhòt Shemità ve-Yovèl, 13:12) descrive la vita dei Leviti nelle loro città: “E perché Levi non ricevette un territorio in Eretz Israel, né il diritto alle spoglie di guerra con i suoi fratelli? Perché fu destinato al servizio divino e a insegnare le Sue rette vie e le Sue giuste leggi al pubblico”. Nel deserto i leviti rappresentavano poco meno del quattro percento del popolo. E anche quando si stabilirono in Eretz Israel la loro percentuale non fu certo superiore a un tredicesimo del popolo. Non avevano terreni e venivano mantenuti con la decima del raccolto di tutte le altre tribù. In cambio di questo si dedicavano allo studio della Torà e all’insegnamento al popolo. Le città di rifugio offrivano quindi un ambiente spirituale.

    R. Yosef Shalom Elyashiv (Lituania, 1910- 2012, Gerusalemme) In Divrè Aggadà (pp. 323-4) osserva che questo tipo di omicidio poteva capitare perché chi l’aveva commesso non aveva sufficiente “Ahavàt Israel”, amore per il prossimo. La città di rifugio non doveva servire solo come protezione dalla famiglia della vittima, ma soprattutto a far fare teshuvà a coloro che avevano causato involontariamente la morte di altri. A tale scopo le città dei leviti offrivano l’ambiente adatto.

    da morasha.it
     
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3 replies since 5/1/2023, 12:35   128 views
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