Le “dodici ragioni di esecrazione” secondo Abrabanel

Devarim 27, 15-26

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    KI TAVÒ TORÀ

    Ki Tavò. Le “dodici ragioni di esecrazione” secondo Abrabanel

    RAV ALBERTO SOMEKH 01/09/2023

    In Devarim 27, 15-26 la Torah riporta dodici espressioni di esecrazione nei confronti di altrettanti trasgressori differenti, considerati particolarmente gravi. Fra le tante interpretazioni possibili di questo brano, Abrabanel scrive che “Moshe nostro signore nella sua grande capacità profetica vide dodici cause che avrebbero provocato terribili mali nella storia successiva di Israel fino alla fine delle generazioni e pertanto le ha condannate a una a una”. Dalla penna di un grande statista, la condanna di atavici abusi senza mezzi termini e il monito per una società ebraica migliore, da tener presente nel mese della Teshuvah, dell’individuo e della collettività.Vediamole.

    אָרוּר הָאִישׁ אֲשֶׁר יַעֲשֶׂה פֶסֶל וּמַסֵּכָה תּוֹעֲבַת הֹ’ מַעֲשֵׂה יְדֵי חָרָשׁ וְשָׂם בַּסָּתֶר וְעָנוּ כָל הָעָם וְאָמְרוּ אָמֵן

    V. 15: “Maledetto colui che si faccia una statua o un idolo di getto che costituisce abominio di H., opera artigianale e se lo tenga in segreto. Tutto il popolo risponderà e dirà: Amèn”.

    L’idolatria è stata una costante della storia ebraica biblica dai tempi di Moshe stesso (il Ba’al Pe’or: Bemidbar 25, 1-9) almeno fino alla distruzione del Primo Tempio, di cui è presentata come la principale motivazione.

    אָרוּר מַקְלֶה אָבִיו וְאִמּוֹ וְאָמַר כָּל הָעָם אָמֵן

    V. 16: “Maledetto colui che disprezza suo padre e sua madre. Tutto il popolo dirà: Amèn”.

    Il verso non si limita a condannare la mancanza di riguardo per i genitori nei gesti diretti a loro. Per vendicarsi della violenza subita dalla sorella Dinah, Shim’on e Levì ordirono la strage degli abitanti cananei della città di Shekhem suscitando il dispiacere di Ya’aqov loro padre. Ciò non è meno grave. Questi temette infatti ritorsioni (Bereshit 34, 10) e ne serbò il ricordo fino alla morte (49, 6).

    אָרוּר מַסִּיג גְּבוּל רֵעֵהוּ וְאָמַר כָּל הָעָם אָמֵן

    V. 17: “Maledetto colui che arretra il confine del vicino (per occupare la sua proprietà). Tutto il popolo dirà: Amèn”.

    Anche qui non ci si riferisce solo ai confini fisici di un terreno. Alla morte del Giudice Ghid’on Avimelekh suo figlio sterminò settanta dei suoi fratelli per usurparne il potere e poter dominare da solo (Shofetim, 9). Per la prima volta nella storia biblica qualcuno si nomina da solo a una carica dopo essersene impadronito mediante un crimine.

    אָרוּר מַשְׁגֶּה עִוֵּר בַּדָּרֶךְ וְאָמַר כָּל הָעָם אָמֵן

    V. 18: “Maledetto colui che trae in errore il non vedente per la via. Tutto il popolo dirà: Amèn”.

    “Una trasgressione ne trascina un’altra”: dall’ambire al possesso dei beni altrui al cercare di averli con ogni mezzo. Come è noto, il divieto biblico di porre un inciampo dinanzi al non vedente è interpretato anche come una metafora: non indurre in errore altrepersone ignare mediante il proprio consiglio (Wayqrà 19, 14 e Rashì ad loc.). Un esempio fra i tanti ci è dato dalla malvagia regina Izevel. Re Ach’av suo marito desiderava a tutti i costi impadronirsi della vigna di Navot che confinava con il suo palazzo. Non essendo riuscito con le buone, perché il proprietario non intendeva alienarla, ascoltò il consiglio della moglie, che lo indusse a ordire nei confronti di Navot una falsa accusa di tradimento, di farlo condannare a morte e incamerarne i beni. La discendenza di Ach’av fu condannata per questo ed egli stesso e la moglie finirono divorati dai cani (1Melakhim, 21).

    אָרוּר מַטֶּה מִשְׁפַּט גֵּר יָתוֹם וְאַלְמָנָה וְאָמַר כָּל הָעָם אָמֵן

    V. 19: “Maledetto colui che storce il diritto dello straniero, dell’orfano e della vedova. Tutto il popolo dirà: Amèn”.

    Ai tempi di Yehoshua’ (cap. 9) gli abitanti della città cananea di Ghiv’on tentarono di evitare la conquista israelitica e la propria distruzione fingendosi profughi di una terra lontana. Presentatisi in delegazione ai capi degli Ebrei ottennero protezione sotto impegno di giuramento. Quando furono scoperti, Yehoshua’ insisté per onorare il giuramento sia pure estorto con l’inganno e si limitò a condannare i Gabaoniti a servire nel Tabernacolo come taglialegna e attingitori d’acqua. Molto più tardi, del re Shaul è riferito che li sterminò (2Shemuel 21, 1). Non sono chiari dal testo i particolari del truce episodio. I commentatori mettono in relazione il loro sterminio con quello degli 85 Kohanim del Santuario di Nov (1Shemuel 22), affermando che venuto meno il supporto di questi, i Gabaoniti semplicemente morirono di fame. La conseguenza di ciò furono tre anni di carestia ai tempi del re David. L’intero popolo fu punito per contrappasso per non essersi opposto ai crimini del monarca: i Gabaoniti portavano acqua al Santuario, gli Israeliti furono privati di cibo e acqua.

    אָרוּר שֹׁכֵב עִם אֵשֶׁת אָבִיו כִּי גִלָּה כְּנַף אָבִיו וְאָמַר כָּל הָעָם אָמֵן

    V. 20: “Maledetto colui che giace con la moglie di suo padre (sebbene non sia sua madre), poiché scopre le nudità di suo padre. Tutto il popolo dirà: Amèn”.

    La storia della monarchia israelitica fornisce più di un esempio di violenza commessa dal figlio nei confronti di una o più concubine del padre: si pensi a Adoniyah e Avshalom figli del re David, che in tal modo intendevano sancire la propria ribellione politica e il loro proposito di dominio al posto del padre. Entrambi pagarono con la vita l’abuso compiuto.

    אָרוּר שֹׁכֵב עִם כָּל בְּהֵמָה וְאָמַר כָּל הָעָם אָמֵן

    V. 21: “Maledetto colui che giace con qualsiasi animale. Tutto il popolo dirà: Amèn”.

    L’animale è metafora della donna adultera, che non prova sentimento alcuno per il proprio legittimo marito.

    אָרוּר שֹׁכֵב עִם אֲחֹתוֹ בַּת אָבִיו אוֹ בַת אִמּוֹ וְאָמַר כָּל הָעָם אָמֵן

    V. 22: “Maledetto colui che giace con sua sorella, figlia di suo padre o figlia di sua madre. Tutto il popolo dirà: Amèn”.

    Il riferimento è a Amnon, figlio primogenito del re David, che si invaghì di Tamar, la violò e poi la cacciò. Quest’ultima era figlia di un’altra moglie di David e secondo il Talmud (Sanhedrin 21a) Amnon avrebbe potuto sposarla, perché era stata concepita prima che la madre, una principessa cananea, si convertisse. Tamar si rifugiò presso suo fratello Avshalom, di cui condivideva entrambi i genitori. Il re David non punì Amnon. Ci pensò invece Avshalom, che lo fece uccidere dopo averlo invitato a un banchetto (2Shemuel 13). Avshalom, che succedeva ad Amnon in linea dinastica, si sentì spianata la strada a diventare re e si ribellò al padre. L’episodio di Amnon e Tamar diviene l’esempio di un amore “subordinato a secondi fini” (Avot 5, 22) e i Maestri ne proibiscono la lettura pubblica (Meghillah 4, 10).

    אָרוּר שֹׁכֵב עִם חֹתַנְתּוֹ וְאָמַר כָּל הָעָם אָמֵן

    V. 23: “Maledetto colui che giace con la propria suocera. Tutto il popolo dirà: Amèn”.

    La suocera simboleggia una donna cattiva che attrae al proprio comportamento la figlia e il genero. Il riferimento è alle mogli del re Shelomoh che lo attirarono verso costumi idolatrici.

    אָרוּר מַכֵּה רֵעֵהוּ בַּסָּתֶר וְאָמַר כָּל הָעָם אָמֵן

    V. 24: “Maledetto colui che percuote il suo prossimo in segreto. Tutto il popolo dirà: Amèn”.

    Si parla della mancanza di fiducia reciproca fra i detentori del potere. Questo era l’ordine del giorno presso le effimere dinastie del Regno di Israel. Il re Ba’ashà uccide Nadav figlio di Yarov’am a tradimento e suo figlio Elah fu poi a sua volta ucciso dal comandante dell’esercito Zimrì in modo analogo (2Melakhim 15). Fu questo l’inizio di una serie di congiure che culminarono molti anni dopo nell’assassinio di Ghedalyah ben Achiqam ormai ai tempi dell’occupazione babilonese, provocando la fine di ogni residuo di auto-dominio ebraico in Terra d’Israel.

    אָרוּר לֹקֵחַ שֹׁחַד לְהַכּוֹת נֶפֶשׁ דַּם נָקִי וְאָמַר כָּל הָעָם אָמֵן

    V. 25: “Maledetto colui che percepisce corruzione per colpire il sangue di persone innocenti. Tutto il popolo dirà: Amèn”.

    Dei figli di Shemuel Yoel e Aviyah si narra che, servendo da Giudici al posto del padre, percepivano prebende (1Shemuel 8, 3). Il Talmud spiega che attiravano le persone in attesa di giudizio presso il proprio Bet Din a Beer Sheva’ allo scopo di incrementare le paghe dei loro funzionari (Shabbat 56a). Anche in questo caso non si tratta di una condotta propriamente illegale. La principale conseguenza di ciò fu la nomina di un re, con tutto ciò che seguì: ciò non sarebbe successo se Shemuel, che mai avrebbe percepito un compenso per la propria attività, avesse avuto degli eredi alla sua altezza. Anche i testimoni che determinarono la condanna di Navot, accusato di tradimento nei confronti del re Ach’av, erano evidentemente prezzolati e provocarono la morte di un innocente.

    אָרוּר אֲשֶׁר לֹא יָקִים אֶת דִּבְרֵי הַתּוֹרָה הַזֹּאת לַעֲשׂוֹת אוֹתָם וְאָמַר כָּל הָעָם אָמֵן

    V. 26: “Maledetto colui che non supporta le parole di questa Torah per eseguirle. Tutto il popolo dirà: Amèn”.

    Con l’esecrazione finale Moshe Rabbenu guarda più avanti, all’epoca del Secondo Tempio in cui i Sadducei pretesero di “rivelare volti della Torah non conformi all’interpretazione tradizionale” e provocarono in tal modo la distruzione di Yerushalaim. Essi credevano infatti nella Torah Scritta, ma non in quella Orale. Pertanto qui non è scritto: “che non osserva” (lo yeqayyem), bensì “che non supporta”, cioè non accetta l’idea che la Torah è Parola del D. vivente. La conseguenza è che questa persona osserverà sì la Torah, ma in modo parziale, nei limiti di ciò che riterrà aderente ai suoi gusti e alla sua sensibilità. Per questo il versetto non specifica: “Maledetto colui che non supporta tutte le parole di questa Torah”, come ci saremmo attesi. Anche chi scarta una sola Mitzwah è degno di condanna. La Torah va accettata nella sua interezza.

    da morsha.it
     
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